10 agosto No ponte. Cura del territorio contro politiche estrattive

10 agosto No ponte. Cura del territorio contro politiche estrattive

foto di Mikhaela Cannizzaro

La grave crisi idrica che i territori siciliani stanno attraversando è uno degli esempi del fallimento delle politiche delle istituzioni a tutti i livelli, dal locale al regionale. Come sempre infatti, queste stanno al giogo delle élite economiche che le utilizzano per soddisfare le proprie smanie predatorie mentre i territori rimangono luoghi di conquista da cui estrarre profitto.
A trarre vantaggio da questo assetto di poteri sono le imprese collegate ai partiti che di volta in volta vanno al governo: le alleanze tra istituzioni, partiti e imprese creano un grasso banchetto di cui si approfitta una lunga lista di  “tecnici” e professionisti a caccia di consulenze e prebende. Anche loro cambiano nel tempo, naturalmente, seguendo gli equilibri politici che si danno. È a questa ben oliata macchina degli affari che si deve l’avvicendamento di certi soggetti politici e tecnici a loro collegati che assumono, di volta in volta sulla base del “vento” di turno, pareri differenti.

È così che i bisogni dei territori vengono ignorati. E un bene essenziale come l’acqua diventa un miraggio per gli abitanti e un affare per gli speculatori. Così accade per tutti gli altri servizi essenziali: si pensi alla sanità, alla messa in sicurezza dal rischio idrogeologico e sismico, allo stato della viabilità interna o agli incendi. 

Quella storia infinita che oggi è la progettazione e che domani vorrebbe divenire la costruzione del ponte sullo Stretto, è l’esempio lampante di queste strategie.

Intorno a esse è stato generato un vero e proprio modello, il “modello ponte”: un sistema complesso fatto di norme ad hoc, pratiche di controllo del territorio, atti amministrativi, narrazioni mediatiche. Si tratta di una storia lunga, ma che nel tempo ha dato vita a una vera e propria prassi politica e amministrativa, a un modo di gestire le politiche di stampo estrattivo. Una prassi che viene applicata a un’area, ma che, sperimentata, può essere esportata e riproposta ovunque, spacciando i loro affari per “interesse pubblico”, per il bene di tutti.

È in questa cornice che, nella giornata di sabato 10 agosto, una nuova manifestazione ha invaso  le strade di Messina.

Si tratta del quinto corteo No ponte da quando, nel 2022, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini ha rilanciato la volontà di riavviare l’iter di progettazione e costruzione del ponte sullo Stretto. La manifestazione del 10 agosto, però, non è stata importante solo per  dimostrare con quanta costanza e radicamento il Movimento No Ponte sia in grado di opporre  resistenza alla devastazione dei territori dello Stretto. La manifestazione del 10 agosto ha anche  ricordato che lo scontro politico fondamentale di questa fase politica è quello tra politiche estrattive e cura dei territori. 

Tutti gli elementi di quello che chiamiamo “modello ponte” sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento dal corteo.

Nel DDL sicurezza e nel decreto infrastrutture sono stati individuati gli strumenti normativi che, insieme, disegnano uno scenario nuovo. L’obiettivo è, da una parte, terrorizzare gli abitanti imprimendo pene molto pesanti per qualsiasi forma di conflitto e, dall’altra, fornire gli strumenti che consentano di aggredire i territori anche in assenza di un progetto esecutivo per l’intera opera. Nei fatti, stanno preparando con cura l’ennesima incompiuta.

Accanto a questi temi, il corteo ha messo in evidenza la necessità di rompere la stessa liturgia delle osservazioni, delle raccomandazioni, dei suggerimenti.

Perché, nei fatti, questa forma di dibattito avvantaggia le corporazioni che si appropriano dei territori, correndo il rischio di legittimare dei contesti nei quali le decisioni sono in realtà già prese.

Ai territori rimane una sorta di “diritto di tribuna” attraverso pronunciamenti e studi di “tecnici” propri. L’iter progettuale e di costruzione, vero obiettivo, si nutre di questi stessi meccanismi, sfruttando persino i rallentamenti. Per questa ragione la manifestazione ha chiesto la chiusura di uno degli attori principali del grande “modello ponte”: la Stretto di Messina Spa, società concessionaria dello Stato per la progettazione e costruzione dell’opera. 

Il “modello ponte” prevede, in sostanza, che alle comunità locali vengano riconosciuti spazi confinati, oltre i quali c’è solo la criminalizzazione e il controllo militare del territorio.

Lo vedremo quando verranno avviati i cantieri. Le avvisaglie le abbiamo avute con la visita a Messina del ministro Salvini. In quell’occasione la città è stata blindata e sono state bloccate alcune tra le arterie stradali più importanti della città. Oggi ci è più facile immaginare quale sarà il livello di controllo militare per difendere la città cantiere, che sarà blindata, occupata. 

Di fronte a questo scenario il compito del Movimento No Ponte non può che essere quello di  continuare a battersi, a costruire insieme alle comunità locali momenti effettivi di decisionalità dal basso. Ci fanno eco le parole di Luigi, confinato in regime di alta sicurezza nel carcere di Alessandria:

a Messina come altrove, che siano i territori a dettare la linea di condotta generale delle lotte e a condizionare l’agenda politica.

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