Messina: a Fondo Fucile difeso il falò di Capodanno. Contro la criminalizzazione delle tradizioni
La sera del 31 dicembre a Fondo Fucile, a Messina, si sarebbe voluta mettere in atto una tradizione: il falò di Capodanno. Niente di preoccupante, direte voi, e invece secondo la sbirresca amministrazione di De Luca si parla “un’operazione di criminalità”.
La difesa delle tradizioni
Infatti, a Fondo Fucile, la sera di Capodanno, gli operatori di Messina Servizi e i Vigili del Fuoco volevano rimuovere la catasta di legna pronta a essere data alle fiamme allo scoccare della mezzanotte. A quel punto i ragazzi hanno risposto con sassate e lanciato petardi contro operatori e forze dell’ordine, salendo sul falò per impedirne la rimozione.
È rimasto ferito il comandante della polizia metropolitana Daniele Lo Presti che è stato colpito alla mano.
La narrativa della “liberazione”
E come al solito si mette in atto la narrazione main stream di esaltazione della “liberazione” di Fondo Fucile dalle cataste di mobilia vecchia destinata al falò di mezzanotte e la contestuale condanna dei giovani che hanno tentato di difenderla da vigili e carabinieri.
Nessuno che si sia chiesto cosa questi ragazzi sentono e pensano riguardo a territorio, area urbana, periferia, memoria, tradizioni. Non fosse altro che da anni sono letteralmente usati da progettisti, cooperative sociali, amministratori, sociologi e quararaqua quali “protagonisti” (o “popolazione target”) del superdecantato progetto “capacity” di “risanamento e ricostruzione urbana”, assunto ormai a modello vincente in tutta Italia e perfino in ambito UE.
Di contro le scene di stanotte – se fossimo meno ottusi e più attenti all’alterità e alle differenze – forse testimoniano il fallimento di quel progetto e la sua “distanza” da bisogni e soggettività reali.
Eppure noi non dimentichiamo – come descrive l’attivista Antonio Mazzeo – come lo Stato e le sue istituzioni si sono presentati sempre agli occhi degli studenti di quella zona, a partire dalla “loro” scuola incolore, mura cadenti, classi infami, senza vetri alle finestre, senza porte nei bagni, senza niente di niente, “protetta” con catene e lucchetti alle uscite di sicurezza dalle incursioni degli ex alunni che avevano abbandonato o erano stati espulsi dal sistema educativo-scolastico prima di aver completato il ciclo di studi.
Una comunità che non vuole rinunciare alle radici
Noi crediamo che in questo quadro quei ragazzini siano parte e espressione di una comunità che non vuole rinunciare alle proprie radici. Sono espressione di una comunità che vuole continuare a esistere con tutto il proprio bagaglio di storia e cultura e rito tramandato da padre in figlio; che vuole resistere all’avanzare della globalizzazione che contamina e impoverisce, che sbiadisce la memoria e la rende sempre più lontana dal presente.
Questi riti – come la Vampa di San Giuseppe a Palermo, le bamparizze di Torre Faro a Messina e tanti altri – portano con sé l’emergere delle consuete distinzioni, portatrici sane di contraddizioni interne, fra legalità e illegalità, fra progresso e barbarie; ed è subito demonizzazione dei rituali in nome della civiltà, appiattimento delle culture in nome della modernità, l’orgoglio per la propria cultura e la difesa delle proprie tradizioni diventano semplice immotivata violenza.
Antudo!
Ma il fuoco vive finché ha qualcosa da ardere e da queste parti ad ardere vi è tanta la rabbia, insieme all’amore per la propria terra, la propria memoria, la propria identità.
In questo primo dell’anno auguriamo a tutti i siciliani e le siciliane un anno che sia rivalsa, di lotta e riconquista del proprie radici e dei propri diritti. In barba a chi vorrebbe farci sentire schiacciati sul fondo, fanalino di coda della società. Per una Sicilia che lotta e si ribella. ANTUDO!