Abbattere il muro di gomma. Una lotta per la salute in Sicilia. Il caso di Gela
La scorsa settimana il Comitato Sos Vittorio Emanuele III ha promosso una raccolta firme contro il depotenziamento dell’ospedale di Gela. Successivamente, con le 3000 firme raccolte, gli organizzatori hanno presentato un esposto in procura. Ma la battaglia del comitato non si ferma qui. L’obiettivo rimane quello di una grande manifestazione di piazza per il prossimo 19 febbraio.
Abbiamo intervistato Luciana Carfì, una delle coordinatrici del comitato SOS Vittorio Emanuele III.
Iniziamo con un accenno al contesto territoriale. Su Gela sembra essere in corso un processo di desolazione programmata. Cosa ne pensi?
Gela è una città che ha attraversato momenti di crisi profonda, crisi che è iniziata nel 2014 con la chiusura dello stabilimento ENI ed i conseguenti licenziamenti che hanno coinvolto molte ditte e moltissimi operai che lavoravano nell’indotto. Chi stava dentro Eni o li hanno mandati in pensione o li hanno mandati altrove provocando da un lato una crisi economica profonda e dall’altra una crisi anche di tipo sociale, con tutta una serie di fragilità territoriali, che già il territorio manifestava, che si sono aggravate. C’è d’altra parte anche tutta la grande questione legata a un piano di risanamento ambientale che è andato avanti lentamente e di cui la cittadinanza sconosce molti passaggi. Il territorio si è organizzato, ha provato a rispondere e ha risposto. Come spesso accade in questi territori, però, ci si adopera per costruire muri di gomma attorno alle proteste. Un po’ quello che sta avvenendo anche adesso rispetto a questa battaglia che il territorio sta portando avanti per la difesa dell’ospedale di Gela e dei servizi di medicina territoriale.
Parliamo della mobilitazione in difesa dell’ospedale.
La mobilitazione è stata costruita in maniera molto semplice. Il comitato SOS, nato nel 2019 a seguito dell’adesione di persone attive da tempo in altri movimenti e associazioni, è impegnato da anni nella difesa della sanità. Già alcuni anni fa avevamo messo in evidenza i problemi dell’ospedale di Gela perché, vista anche la forte incidenza di tumori, bambini che nascono con malformazioni, c’è una situazione sanitaria parecchio delicata e complicata.
Da tempo infatti si vedeva che l’ospedale veniva depotenziato, anche se certamente dal 2019 in poi la situazione è andata sempre peggiorando fino all’episodio che ha fatto esplodere la questione, vale a dire la chiusura della terapia intensiva e il trasferimento di 7 pazienti gravi intubati, in piena pandemia, accompagnati da 12 infermieri sottratti ad altri reparti già parecchio provati dalla mancanza di personale. L’obiettivo era trasferire questi pazienti a Caltanissetta anziché prevedere un piano di emergenza temporaneo e fare arrivare altri medici e infermieri. Pensiamo che questa scelta sia stata caratterizzata dall’assoluta mancanza di rispetto per le persone, trasferiti a Caltanissetta come sacchi di patate, e per i familiari.
Da qui esplode la questione, i cittadini dicono “adesso basta” e decidono di andare in procura a presentare un esposto su tutte le carenze che riguardano l’ospedale di Gela per verificare se ci fossero delle omissioni o si configurasse l’eventualità di reato. È chiaro che si tratta di un’iniziativa forte di tipo politico per scuotere e alimentare il dibattito sul tema, visto che hanno via via negli anni chiuso reparti o diminuito il personale. Uno fra tutti, il pronto soccorso che dovrebbe avere in pianta organica 14+1 medici, attualmente va avanti da mesi con soli 5 medici. Nel 2019 erano 7 medici. Sempre sotto organico, ma anziché migliorare la situazione più passa il tempo e più peggiora.
Per cui abbiamo assistito alla chiusura del reparto di psichiatria, hanno chiuso per aprire il reparto Covid dicendo che la chiusura era solo temporanea ma la psichiatria da marzo 2020 è chiusa e non c’è traccia di riapertura. La neurologia oggi è un mero ambulatorio. Il reparto di chirurgia, che era un reparto molto apprezzato, non è stato per anni messo nelle condizioni di operare, perché mancavano gli anestesisti, perché la sala operatoria spesso non era disponibile. È bene ricordare che parliamo di un bacino di 125.000 abitanti. Siamo la settima città della Sicilia e non abbiamo un ospedale in grado di tutelare la salute dei cittadini. Di fronte a tutto questo l’ASP dà delle giustificazioni che sono parecchio gravi perché si capisce benissimo che non c’è alcuna intenzione di rafforzare questo ospedale, né di renderlo in grado di rispondere alle esigenze di un territorio così vasto.
Che iniziative avete preso come Comitato?
Come comitato abbiamo promosso una raccolta firme a sostegno di questo esposto che abbiamo presentato alla Procura della Repubblica. C’è stata una risposta da parte della città molto forte. Ancora oggi veniamo contattati chiedendo di poter firmare. Abbiamo disposto solo un gazebo esterno e nonostante le giornate fredde siamo stati inondati di firme fino alla chiusura dell’iniziativa.
La città ha risposto in maniera massiccia e decisa, senza se e senza ma. Anzi abbiamo raccolto testimonianze, sono venuti familiari di persone che hanno subito in questo periodo trasferimenti, come dicevamo prima, o parenti di deceduti che erano stati trasferiti a Caltanissetta. Purtroppo anche se molti dicono che questi trasferimenti si possono fare, altri dicono che sono molto pericolosi: i trasferiti subiscono evidenti peggioramenti e questo non può essere negato da nessuno. A Gela inoltre si trova probabilmente l’unica terapia intensiva che, invece di essere potenziata, è stata chiusa in questo periodo.
Quali sono i prossimi passi?
I comitati studenteschi hanno indetto una riunione perché vogliono promuovere insieme a noi la manifestazione di giorno 19 alle 9:30 (in via Palazzi, adiacente alla scuola Capuana, attigua all’ospedale). Noi contiamo, Covid permettendo, su una grande partecipazione della città. Per consentire l’attraversamento di tutti verranno prese tutte le precauzioni necessarie. In generale, c’è una grande partecipazione che ci spinge ad andare avanti. È un problema quello della sanità e della salute molto sentito.
Considerando il quadro sanitario del territorio, lo sfruttamento e l’inquinamento a cui è stato sottoposto, smantellare l’ospedale di Gela suona come una beffa. Le lotte per la salute possono invertire la rotta e ridare linfa al territorio?
Noi ci proviamo, speriamo che questa lotta sia per i diritti e la dignità di questo territorio perché qua viene lesa la dignità della cittadinanza che è stata mortificata in mille modi. La cittadinanza si è affidata sempre ad altri nella speranza di vedere risolti i propri problemi e puntualmente subisce degli scippi, lo smantellamento di servizi. I giovani l’altro giorno dicevano una cosa molto triste: «siamo costretti ad andare fuori per studiare, per lavorare, ma anche per curarci no!».
Ora, possiamo scegliere volontariamente di curarci in altri ospedali ma questa deve essere una scelta nostra. Essere costretti ad andare via dal nostro territorio è veramente un’umiliazione e un’ingiustizia che non può essere tollerata. Ci sono persone che fanno fatica ad andare avanti, hanno delle pensioni basse, hanno i figli lontani proprio a causa dell’emigrazione massiccia, ci sono quindi anche anziani che hanno bisogno di essere seguiti e curati nella loro città. Spesso in questi casi la risposta è la rinuncia alla cura e questa è una cosa gravissima.
La Costituzione garantisce il diritto alla salute e alla cura e noi siamo costretti a fare delle battaglie per difendere un nostro diritto e che non può essere messo in discussione in alcun modo. La cosa che fa male è la modalità attraverso cui l’assessore regionale alla sanità affronta il problema dell’ospedale di Gela, vale a dire con dei palliativi, dichiarando che si faranno delle assunzioni, dei bandi. Abbiamo chiesto per anni dei bandi localizzati sul territorio e hanno sempre detto che non si potevano fare. Ora, di fronte a questa protesta promettono qualche assunzione, come contentino. Assunzione che poi noi già immaginiamo come finisca: bandi, ricorsi e così via. Noi però abbiamo bisogno oggi di avere un ospedale che funziona. Per questo abbiamo detto che deve essere rispettato il decreto assessoriale del 2019 che stabilisce la pianta organica, tutti i reparti che devono essere presenti nel nosocomio di gela. Quindi noi adesso vogliamo il rispetto del decreto, tutte quelle assunzioni e la riapertura dei reparti così come la messa in campo dei nuovi reparti. Ancora dopo 15 anni aspettiamo il reparto di rianimazione neo-natale. Nel frattempo, tutta l’attrezzatura acquistata è diventata obsoleta.
Non siamo disposti ad assistere a passerelle. Ora fanno annunci di costruzione di un nuovo ospedale. Pensiamo che tutto questo sia fatto per distogliere l’attenzione della popolazione dalla questione dei servizi. Noi siamo contenti se costruiscono un nuovo ospedale, ma sappiamo come funziona in Italia, ci vorranno 10 anni, 20 anni forse. Nel frattempo, cosa avremo? Un ospedale inesistente, servizi zero e questo “possibile” ospedale. Nel frattempo noi vogliamo difendere l’ospedale che esiste, lo vogliamo pieno di medici, infermieri, personale OSA, tecnici. Vogliamo la medicina territoriale che funzioni, vogliamo i reparti riaperti…poi possono costruire altri 20 di ospedali! Avremo un ospedale forte che potrà chiedere ulteriori rafforzamenti. Ma parlare del grande ospedale e non difendere quello che abbiamo oggi, non difendere il diritto alla salute delle persone che oggi o domani hanno bisogno di cure, e non tra dieci anni, sono solo giochetti della politica che la cittadinanza ha capito. È talmente arrabbiata che non è più disposta a stare dietro alle promesse e agli annunci.