1 maggio a Lipari e l’ipocrisia di Stato e padroni
Ieri mattina, 1 maggio, gli abitanti di Lipari si sono svegliati con il centro storico tappezzato di manifesti con la scritta «Cercasi schiavo per la stagione estiva. 800 euro al mese, 10 ore al giorno, no tfr. Contratto irregolare o stipendio a nero. Giorno libero? Ah ah. Gli interessati sono invitati a confrontarsi con i loro colleghi, ad attivare solidarietà, a organizzarsi e a far valere i propri diritti. Buon 1° Maggio».
Un messaggio provocatorio, nel giorno della Festa del Lavoro, per denunciare le violazioni contrattuali così comuni durante la stagione turistica che si appresta a iniziare nelle Isole Eolie.
Il manifesto non è firmato ma l’iniziativa ha provocato immediatamente la reazione di Assoimprese che accusa gli autori di aver attaccato manifesti “abusivi” e di non “avere il coraggio di denunciare agli organi competenti”, sminuendo quindi la questione che il messaggio vuole mettere in luce e alludendo al fatto che questo non abbia alcun fondamento.
Appello a far “scattare” la caccia
Ci sentiamo, allora, di rispondere a nome di tutti i lavoratori e le lavoratrici precari della Sicilia. A nome di quei giovani che decidono di rimanere qua, nonostante le difficoltà. A nome di chi ogni giorno lotta per difendere il proprio territorio dall’attacco di un turismo che arricchisce i pochi a scapito della vita dei più.
Vogliamo rispondere a chi, dall’alto della propria posizione, non solo sfrutta persone e territori, ma si spinge spesso anche a denigrarli.
E lo vogliamo fare soprattutto dopo questo primo maggio nel quale – all’ombra delle commemorazioni – a Lipari è scattata la caccia all’autore del manifesto “abusivo”, manifesto che aveva semmai il problema di essere fin troppo accurato. Anche noi vorremmo fare un appello pe far scattare la caccia: la caccia a chi sfrutta i lavoratori, a chi sfrutta la nostra terra, a chi fa della Sicilia un luogo di estrazione di risorse, di persone, di ricchezza.
L’ipocrisia di chi sfrutta
Come al solito, al fianco di Assoimprese abbiamo trovato uno Stato zelante e sempre pronto a scegliere da che parte stare. È così quindi che a Lipari sono immediatamente partiti controlli serrati nelle vie del centro storico e in questo momento vengono passati al vaglio i filmati delle telecamere di video-sorveglianza presenti per individuare gli autori del gesto. Risuonano quindi come una beffa gli appelli di Mattarella che invita a lottare contro le morti sul lavoro, così come suonano vere provocazioni le dichiarazioni accorate di chi non riesce a trovare camerieri, o le quelle di noti personaggi televisivi secondo i quali «lavorare per imparare non significa necessariamente essere pagati». Ecco, questo è il clima in cui siamo immersi ed è dentro questa realtà che dobbiamo leggere l’azione di Lipari, una realtà nella quale non vogliamo più accettare l’ipocrisia di Stato e padroni.
Noi conosciamo i veri colpevoli
Il lavoro in Sicilia possiamo raccontarvelo noi, gli stessi che ogni estate subiscono contratti in nero o in grigio, assenza del giorno libero, demansionamento e orari troppo lunghi negli stabilimenti balneari, negli hotel, nei ristoranti. Il lavoro stagionale è sempre stato considerato un lavoro giovanile, al quale accedevano principalmente studenti o persone che erano costrette a trovarsi un secondo lavoro. Ma in Sicilia il tasso di disoccupazione è tale che il lavoro stagionale è diventato una fonte di reddito fondamentale – un vero e proprio salvagente – per moltissime persone, soprattutto dopo due anni di chiusure imposte dal governo. Questo significa che spesso pur di lavorare si accettano condizioni lavorative e salariali davvero pessime.
A chi cerca gli autori del manifesto incriminato sperando di farne capri espiatori, quindi, rispondiamo che i veri colpevoli di questo stato di cose li conosciamo: siedono in tutte quelle stanze del potere – a Palermo come a Roma – ; siedono nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e società che hanno fatto i propri interessi con la promessa che avrebbero portato ricchezza.
Una realtà chiara ed evidente a tutti. Eppure, ogni volta che si pretende qualche diritto sui posti di lavoro viene risposto che è “normale” e che “la stagione funziona così”, col ricatto di “mandare a casa, tanto c’è la fila”.
A conti fatti, qui restano territori devastati e abitanti impoveriti.
Se chi ha affisso i manifesti è colpevole, allora siamo tutti colpevoli.
Colpevoli di lottare per la difesa dei nostri diritti e dei nostri territori