Reddito o ricatto? La dignità oltre il lavoro
In Sicilia il sussidio ha interessato quasi 700 mila persone nel 2022, con Palermo (69.8943 nuclei familiari) e Catania (55.831 famiglie) in testa tra le città italiane con più percettori, dopo le metropoli Napoli e Roma. Inoltre, a seguito della spirale di rincari sui beni di prima necessità, su affitti e utenze energetiche, le richieste di accesso continuano ad aumentare.
Uscire dal paradigma lavorativo
Il tema dell’abolizione del reddito di cittadinanza, che per settimane ha colmato lo spazio del dibattito mediatico, ha assunto sempre più le forme dello scontro tra parti sociali (e politiche) contrapposte. Da un lato, il blocco compatto degli imprenditori, dei datori di lavoro, quelli efficienti, che producono, che trainano il paese, dall’altro i percettori, gli “occupabili” definiti fannulloni e parassiti.
Ma lo scontro di posizioni, nell’offensiva politica sferrata dall’attuale maggioranza di governo, più che all’effettiva e semplice eliminazione del sussidio – che ha rappresentato a tutti gli effetti l’unica seppur esigua e insufficiente misura di sussistenza e welfare approvata dai governi negli ultimi quarant’anni – pare essere mirato all’affermazione netta e definitiva dell’assunto per cui: non ci sia vita al di fuori del paradigma lavorativo! Non esista pretesa di condizioni migliori fuori dal ricatto della produzione e che comunque vada, sotto contratto, in nero, precarizzata, sottopagata, l’esistenza debba svolgersi dentro il recinto del lavoro.
Peccato che a scagliare questo attacco e dettare le condizioni sul terreno dello scontro tra capitale e lavoro, sia proprio quel blocco di potere che detiene i mezzi di produzione che in nome del profitto, sacrifica la sicurezza e la salute di chi lavora; che proprio per questa necessità di perpetrare il ricatto dello sfruttamento, adesso accusa i percettori di reddito di stare sul divano a poltrire piuttosto che rimboccarsi le maniche e contribuire a portare avanti l’economia del paese.
Redistribuire la ricchezza
Peccato che il paradigma dell’occupazione totale sia un’illusione impraticabile: perché richiedere di creare impiego tramite grossi investimenti e piani di sviluppo in Sicilia, all’interno della gestione del governo centrale del nostro territorio – già area marginale della rete produttiva capitalistica – significherebbe sottostare maggiormente al ricatto tra lavoro e diritto alla salute in impianti o agglomerati industriali; impianti nocivi che già esistono, come le raffinerie e i petrolchimici e grandi opere inutili, come ad esempio il Ponte sullo Stretto tanto caro ai Ministri di Roma. Oggi per risolvere la disoccupazione strutturale (e destinata ad aumentare) del sistema economico vigente non serve più occupabilità, ma al contrario serve porre le condizioni per una redistribuzione della ricchezza che permetta a tutti di campare lavorando meno, mettendo fine ai turni di 12 ore e al costante calo dei salari.
Assumere una posizione di attacco
Una posizione di sola difesa del sussidio non può bastare più: perché la vera battaglia portata avanti contro l’abolizione del reddito di cittadinanza è quella contro i grandi patrimoni e capitali finanziari, contro chi si si oppone ferocemente alla redistribuzione della ricchezza, all’abolizione dei privilegi, all’uscita dalla miseria che costringe i percettori, i disoccupati e i lavoratori ad accettare condizioni salariali sempre più avvilenti “purché si lavori”. Una caratterizzazione che assume tra l’altro connotazioni geograficamente distribuite che rispecchiano la suddivisione delle preferenze elettorali delle ultime politiche. Ancora una volta, Nord Italia contro il Sud e le Isole.
Non è più il tempo di assumere una posizione di difesa dunque ma di attacco. L’obbiettivo da raggiungere in questi mesi è quello di alimentare le contraddizioni in seno al binomio lavoro/non lavoro, bisogni e necessità da una parte, condizioni di sfruttamento e precarietà dall’altra.
Per queste ragioni abbiamo bisogno di reclamare un reddito – di base, universale, generale che vada oltre il lavoro, che ponga la questione dell’aumento dei salari, della riduzione dei ritmi lavorativi, della possibilità di rovesciare i meccanismi di estrazione di forza lavoro a basso costo dai territori per inserirla nella macchina produttiva di quelle stesse regioni del Nord Italia in cui il governo ha le sue roccaforti elettorali.
I soldi? Dagli extraprofitti, dalle spese per la guerra e gli armamenti, dai grandi patrimoni, dagli sgravi fiscali alle grandi utilities, imprese e multinazionali, dai progetti per le grandi opere inutili.
Rifiuto del modello liberista
Essere costretti a barcamenarsi tra la richiesta di assistenzialismo allo Stato italiano – lo stesso soggetto politico che depreda e sfrutta la Sicilia mentre utilizza il paradigma del sottosviluppo per alimentare odio e disparità tra blocchi sociali – e l’accettazione dello sfruttamento in cambio del reddito di cittadinanza, messa a profitto che spesso per i siciliani si traduce in lavoro in nero ed emigrazione forzata, può essere messo in crisi soltanto dal rifiuto di un modello economico liberista, dall’attacco ai grandi privilegi, alle speculazioni sui beni di prima necessità, da una più equa e sensata gestione delle risorse naturali, energetiche, del territorio in cui viviamo e per cui decidiamo di lottare.