La guerra è in casa nostra ma nessuno l’ha chiesta
Prosegue la guerra in decine di paesi del globo, e arriva anche alle porte d’Europa: un ennesimo conflitto imperialista che ha monopolizzato il dibattito pubblico altrimenti scandito alle nostre latitudini da inflazione, abolizione di misure di redistribuzione di reddito e disoccupazione. Nel frattempo, l’escalation del processo di militarizzazione e riarmo in Sicilia – e non solo – va avanti.
Pochi giorni fa ci si mobilitava in Sardegna contro l’aeroporto militare di Decimomannu, uno dei punti nevralgici delle tre grandi esercitazioni militari in corso in questi mesi in Sardegna. Le esercitazioni – “Mare aperto”, “Noble Jump” e “Joint Stars” – vedono impiegati oltre 900 mezzi tra caccia, veicoli da trasporto ed intelligence, unità navali, sottomarini, mezzi terrestri (obici, carri armati, blindati,) e 4.000 partecipanti tra militari di Esercito, Marina, Aeronautica, Guardia di Finanza e Capitanerie di Porto, funzionari ma anche addetti di Protezione Civile, Croce Rossa Italiana e Vigili del Fuoco. Insieme a loro anche un’agguerrita pattuglia di studenti universitari e laureandi in qualità di consulenti delle forze armate, insomma un’occupazione del territorio sardo a tutti gli effetti, non solo in termini di immaginario ma anche dal punto di vista logistico di invasione e controllo dello spazio fisico.
Allo stesso modo, in Sicilia, verso la fine di marzo, il Dipartimento della Marina Militare degli Stati Uniti d’America chiedeva al Congresso lo stanziamento di 77.072 milioni di dollari per realizzare all’interno della grande stazione aeronavale di Sigonella nuovi depositi super-protetti dove poter stoccare i sistemi d’arma, le munizioni e gli esplosivi destinati alle unità da guerra, ai sottomarini e ai velivoli aerei USA e dei paesi partner con lo scopo dichiarato di contrastare la penetrazione russa nel Mediterraneo allargato.
EDI – Ordnance Magazines è il nome dell’ennesimo progetto di potenziamento infrastrutturale della Naval Air Station (NAS) che interesserebbe Sigonella e che occuperà un’area di 4.802 m² : 4.205 m² per i depositi ad alto potenziale esplosivo (High Explosive Magazines) e 600 m² per l’edificio protetto destinato alle attività di “revisione e manutenzione” delle munizioni (Ammunition Rework and Overhaul Shop – AROS)”.
L’interesse militare su tutto il territorio
È interessante allora riflettere su quali siano i progetti di sviluppo per il territorio siciliano: ulteriore militarizzazione, corsa agli armamenti, produzione di infrastrutture adatte a incrementare la potenza logistica e militare. D’altronde anche l’interesse intorno al Ponte sullo Stretto, esplicitata nella relazione presentata alle Camere il 31 marzo scorso dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini – di concerto con il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – rappresenta un’importante conferma sulle priorità economiche e belliche dello Stato. Nella nota si legge esattamente come «Il Ponte sullo Stretto costituisca inoltre un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di importanti basi militari NATO nell’Italia meridionale». E non da meno è il crescente interesse di aziende come quella di Leonardo S.p.A (azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza) – a cui l’attuale Ministro della Difesa Guido Crosetto è molto vicino e di cui il maggiore azionista (30%) è il Ministero dell’economia e delle finanze. Per esempio, la Leonardo (ex Finmeccanica) ha accordi con molte università italiane, alle quali fornisce possibilità di ricerca e fondi in cambio ed è considerato un soggetto strategico per gli accordi in campo militare “per la sicurezza nel Mediterraneo allargato”.
Rimodellare i territori
Chi prende parte a queste guerre, chi le alimenta e le fa crescere tramite una militarizzazione della società sempre più spinta, non sono però i territori che invece vengono ripetutamente deturpati e saccheggiati da chi detiene il potere. Gli interessi di pochi impongono guerre a migliaia di persone, al fine ultimo solo di aumentare il loro potere e il loro profitto, senza tenere in considerazione i bisogni delle comunità che subiscono pesantemente i costi economici, climatici, sociali, di una continua escalation bellica.
Nel processo di sfruttamento dei territori, la distruzione provocata dalle presenze occupanti viene celata dalla capacità di rimodellare questi territori a misura di sfruttamento e ai fini dell’accumulazione capitalistica. Il territorio, così, perde la sua primaria definizione e rappresentazione; il territorio viene espropriato da saperi, risorse, relazioni e terra – con le conseguenze che questo provoca. Spesso questa trasformazione si traduce poi in costruzione di infrastrutture sempre solo mirate al profitto: pensiamo alle distese di pannelli fotovoltaici, o all’attivazione di nuovi processi economici nei luoghi e nei pressi delle basi.
Costruire il “campo centrale dello scontro”
Ritornando a prima, chi ha scelto quest’occupazione? Una domanda, questa, che ormai da anni ci poniamo non solo all’interno dei nostri contesti. La riappropriazione della decisionalità dovrà allora passare da una consapevolezza e dal riconoscimento della necessità di ribaltare il dominio sui territori che ha lo Stato.
Queste politiche di rapina di massa del capitalismo globale, ai danni dei vari Sud del Mondo – “zone marginali del sistema dove l’adattamento alle logiche del capitale si fa necessariamente più debole e incerto” – vanno attaccate a partire da quei territori che rappresentano oggi “l’anello debole” del processo ma anche “il campo centrale dello scontro’’.
Il territorio, se pensato come risultato di rapporti di forza, definisce anche l’efficacia dei processi di rimodulazione e di trasformazione delle soggettività ribelli. È da qui che bisogna interrogarci, da qui dipendono il nostro futuro e il futuro del nostro bene comune: la terra.
Se il mondo degli Stati pretende che i popoli su cui estende la propria sovranità partecipino allo schieramento, costruiamo allora la nostra resistenza! Organizziamo la ribellione, pratichiamo la decisionalità, costruiamo l’autogoverno.