Tanto tuonò che non piovve

Tanto tuonò che non piovve
Tanto tuonò che non piovve e questo accade da almeno vent’anni ed è sotto gli occhi di tutt, anche di chi amministra l’acqua in Sicilia. 

Non piove a causa dei cambiamenti climatici ed è necessario e corretto definire le responsabilità di questo fenomeno puntando il dito contro un sistema politico, economico e produttivo che usa la terra come sistema dalle risorse infinite, strizzando ogni risorsa naturale per il profitto.

Chi paga queste scelte scellerate? Chi è povero, chi vive nelle periferie delle metropoli o nelle aree più abbandonate delle aree interne.

Aria e acqua, i due elementi vitali, sono sottoposti ad uno stress da sfruttamento capitalista, ma l’umanità non lo può permettere se vuole continuare a vivere sulla terra. 

 

Ma che succede nell’isola?

Il poeta siculo-arabo Ibn Hamdis, tradotto probabilmente in Puglia assieme agli ultimi siculo arabi, racconta con sofferenza il momento della sua partenza forzata: con parole semplici ed evocative il poeta ritrae un’isola ricca di acqua, giardini ed orti: «vado via con le mani vuote ma con gli occhi pieni». Prima di lui, già Ovidio aveva declamato il lago di Pergusa come luogo dell’eterna primavera. Oggi questo scenario è cambiato.

È ormai di dominio pubblico: la Sicilia è a rischio desertificazione per il 70% dei suoli. Come è stato riportato da più voci, già tra il 2030 e il 2040 circa il 30% del territorio sarà desertificato

C’è però una differenza sostanziale tra deserto e desertificazione. Il deserto è di per sé un ecosistema, che è sì fragile, ma  – come tutti gli altri ecosistemi – costruisce i suoi equilibri e interazioni tra esseri umani e non umani. La desertificazione, invece, è un processo – un deserto in divenire. Perchè la desertificazione avvenga, a modificarsi deve essere l’ecosistema esistente, dando vita alla rottura, probabilmente irreversibile, di un intero insieme di correlazioni stabili.

Nell’isola la crisi idrica è frutto di una commistione tra fattori predisponenti, sia climatici che antropici. Tra i due, però, è proprio il fattore antropico a provocare il rischio desertificazione: disboscamento, cementificazione, agricoltura e allevamenti intensivi, incendi, mancata prevenzione e cattiva gestione territoriale, sono tutti elementi che ad oggi risultano determinanti per  accelerare questo processo. Ancora oggi  assistiamo  a rimpalli di responsabilità politiche e amministrative tra ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) idrici, autorità di bacino, Esa (Ente Sviluppo Agricolo), partecipate comunali, protezione civile e assessori vari. 

 

Diversi dati sono emersi a conferma dell’incapacità (o della non volontà ) dei governi regionali di affrontare il problema nella sua complessità, favorendo, tra l’altro, l’accelerazione di processi di tipo estrattivo: 

  • 2 miliardi e 500 milioni di danni nel comparto agricolo zootecnico, con perdite stimate ad oggi del 50%, a cui si aggiungerà un altro 25% sino a settembre, se non si interverrà nell’immediato;
  • invasi vuoti per due terzi della loro capienza ed alcuni quasi del tutto prosciugati come il Pergusa, l’ Ogliastro, il Fonaco;
  • altri invasi non sono stati collaudati e questo comporta l’impossibilità di utilizzarli a pieno;
  • gli invasi utilizzati male si sono insabbiati e risultano non riempibili. 

Per affrontare urgentemente la crisi idrica si dovrebbero stanziare circa 720 milioni di euro, ma solo 92 sono stati messi a disposizione e solo il 17% delle opere di captazione, sistemazione pozzi e ristrutturazione della rete idrica è stato messo in opera, generando una dispersione di acqua immessa in rete pari a circa il 60%. 

Manca un piano per il riutilizzo delle acque reflue che potrebbe mitigare e non poco i problemi nel comparto agricolo. 

1 miliardo e 600 milioni per ristrutturare definitivamente la rete idrica siciliana corrispondono alla rapina che il governo regionale farà alla quota del fondo di coesione e sviluppo della regione per finanziare l’inutile ponte sullo Stretto, che nel suo complesso dovrebbe costare 14 miliardi di euro.

Scelte di politica economica che risultano oltremodo insensate ed irricevibili di fronte alla totale assenza di opere infrastrutturali indispensabili come quelle per la distribuzione efficiente di acqua che però non hanno mai rappresentato una priorità per i governi regionali e locali.

Negli anni 50 i contadini siciliani lottavano contro la mafia dei pozzi e Danilo Dolci  amplificava le loro voci inascoltate. Oggi qualcuno ha in mano risorse idriche che distribuisce con le autobotti a caro prezzo. Un vergognoso ritorno al passato. Ma calcolando il fabbisogno idrico dell’isola in 1.750 miliardi di metri cubi l’anno e considerando che se  piovessero 588 mm su 25.711 km quadrati (superficie della Sicilia), come da medie stagionali, cadrebbero sull’isola circa 15 miliardi di metri cubi l’anno e considerando che alcuni miliardi di metri cubi sono realisticamente difficili da captare, praticamente tutte quello che potrebbe essere messo in rete viene tragicamente disperso e non trattenuto. 

A tutto questo si aggiungono fenomeni sempre più frequenti di dissesto idrogeologico: 

quasi 175 fenomeni hanno interessato circa il 90% dei comuni siciliani e la regione ha risposto con un finanziamento esiguo e certamente insufficiente di 61 milioni di euro per l’intera isola e poco più di 3 milioni di euro per pagare 1.200 ore di volo antincendio. Finiti questi non basteranno le squadre di terra per affrontare fenomeni sempre più frequenti, inoltre la gara per i grandi elicotteri antincendio è andata deserta. Forse gli elicotteri saranno destinati ad altro? 

Cifre per opere prioritarie che risultano però irrisorie se messe a confronto con i 14 miliardi che vogliono sperperare per il ponte.

Un investimento vitale per mitigare tutto ciò sarebbe la piantumazione di milioni di essenze arboree sia in aree urbane che extraurbane, un’opera proiettata nel futuro prossimo con durata mitigatrice indispensabile, permettendo l’abbassamento delle temperature nelle aree circostanti, trattenimento dei suoli, regolazione ed incremento delle falde acquifere. Ma anche su questa operazione prioritaria c’è indifferenza e mancanza di lungimiranza.

Alla luce di questo non possiamo che ribadire l’urgenza di battaglie territoriali sull’utilizzo delle risorse pubbliche (che di fatto sono delle comunità). Per ribadire che devono essere gli abitanti dei territori a decidere cosa per loro è prioritario e cosa no. Battaglie che dovranno confrontarsi con un piano, si locale, ma soprattutto regionale/generale e quindi confliggere con le istituzioni centrali (Regione, governo nazionale) che ci hanno portato nel baratro in cui ci troviamo.

Solo così possiamo invertire la rotta!

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