Dissesto del Comune di Messina e dimissioni del sindaco.
Che De Luca il sindaco lo sappia fare (e, soprattutto, se questo si tradurrà in un miglioramento delle condizioni di vita dei messinesi) lo sapremo a consuntivo del suo mandato (questo, se alla fine non si dimetterà; il prossimo, se dovesse essere rieletto nelle elezioni successive alle sue dimissioni). Di certo, comunque, sa giocare al gatto col topo con il consiglio comunale.
Sull’Agenzia sul risanamento ha vinto e, presumibilmente, vincerebbe anche (magari con qualche aggiustamento, vista la mole degli emendamenti) sul Regolamento del consiglio comunale, ma il suo percorso va dritto alla madre di tutte le questioni: il Piano di riequilibrio. Lo ha detto in conferenza stampa (“io sono già oltre”) e l’ordine del giorno proposto al presidente del consiglio comunale per il 6 ottobre (due giorni dopo scatterebbero le dimissioni) rende esplicito il suo intento. Al primo punto la Relazione di inizio mandato (formalità prevista per legge nella quale si fa il punto sulla situazione economico-finanziaria del Comune di Messina). Al secondo e al terzo le misure economico-finanziarie urgenti e le sue dimissioni. E il terzo punto, evidentemente, dipende dal secondo. “Il consiglio comunale deve decidere se vuole salvare la città oppure no … gli atti falsi che hanno votato quando erano consiglieri comunali … il Piano di rimodulazione è falso”, queste le sue parole.
Da queste si evince che egli chiederà un impegno sostanziale del Consiglio nella rimodulazione (ha 60 giorni di tempo dalla Relazione di inizio mandato) di un Piano di Riequilibrio che ha fallito. Che questa considerazione sia corretta è testimoniato dal fatto che che il Piano di Riequilibrio di Accorinti ha ottenuto risultati davvero modesti (meno del 16% di rientro dell’intera massa debitoria nei primi tre anni, quelli certificati da bilanci consuntivi approvati dal Consiglio Comunale) e va dritto verso la bocciatura da parte della Corte dei Conti. Meno corretta è l’equiparazione del riequilibrio finanziario con la salvezza della città. I Piani di riequilibrio, infatti, salvano gli amministratori, i dirigenti e i creditori, ma condannano i cittadini a anni di lacrime e sangue. E, probabilmente, è questo che De Luca chiederà al Consiglio comunale, un’accentuazione delle misure d’austerità, fatte di privatizzazione dei servizi, esuberi, tagli e dismissioni di patrimonio pubblico.
De Luca, però, si trova in una contraddizione che potrebbe apparire meramente semantica, ma che invece è terribilmente sostanziale. Nelle dichiarazioni successive alla conferenza stampa sul nuovo piano della mobilità dell’Atm ha dichiarato che “siamo in dissesto”. Se le cose stanno effettivamente così egli dovrebbe trarne le conseguenze. La norma, infatti, dice che se l’ente si trova in condizioni che possono condurre al dissesto e non è in grado di effettuare un riequilibrio con gli strumenti ordinari di bilancio può accedere ad una procedura che si concretizza nell’approvazione di un Piano di un riequilibrio (quello votato dal Consiglio comunale di Messina ha la durata di 10 anni, ma può essere esteso a 20). Nel caso in cui, invece, l’ente si trova già in una condizione di dissesto questo diventa un obbligo di legge.
Non si tratta, dunque, di una scelta, ma della valutazione della situazione economico-finanziaria in cui versa il Comune. La strategia di De Luca porta alle estreme conseguenze il percorso introdotto dall’amministrazione Accorinti e dimostra che non può esserci difesa dei servizi pubblici e della qualità della vita nelle città dentro le compatibilità imposte dalle norme sul riequilibrio finanziario. Insomma, non possono esistere Piani di Riequilibrio socialmente sopportabili.
Ci vorrebbe che un altro soggetto prendesse la parola: gli abitanti del territorio. Ci vorrebbe un partito del dissesto, capace di avere il coraggio di dire che gran parte del debito è ingiusto e che esso deve essere fatto pagare a chi l’ha creato.