Sulla questione del biogas e altro.

Sulla questione del biogas e altro.

Note del Coordinamento contro la discarica di Armicci – Lentini

La digestione anaerobica è un processo senza emissioni, difficile poter dire qualcosa contro”.
Il Coordinamento contro la discarica di Armicci di Lentini si è pubblicamente schierato contro il progetto di costruzione di impianti di biogas e di biomasse in contrada Bonvicino-Lentini e così ha fatto il Comitato di Francofonte per l’impianto che vorrebbero costruire in contrada S.Biagio-Francofonte. Le parole qui sopra riportate, che pare stiano prendendo piede anche all’interno delle associazioni ambientaliste, ci muovono ad un immediato chiarimento. Un chiarimento tanto più necessario viste le recenti esternazioni del Signor Zanna, presidente di Legambiente , che si prodiga per “contribuire a trovare delle soluzioni per la gestione virtuosa dei rifiuti anche in Sicilia” invitando la A2A (“E la A2A ha le competenze per farlo”, scrive Zanna) a discutere del “loro progetto di digestione anaerobica” ossia di un impianto a Biogas. Dice a tal proposito il Signor Zanna: “Dire solo e sempre no non basta. La Legambiente vuole contribuire a trovare delle soluzioni per la gestione virtuosa dei rifiuti anche in Sicilia, perché, oltre a ridurre i rifiuti, bisogna recuperarli, riciclarli, farli diventare una risorsa per l’economia circolare. E tutto questo è possibile realizzando, finalmente anche in Sicilia, i necessari impianti, sostenibili, moderni e tecnicamente corretti”.
Dire solo NO certamente non basta – lo sosteniamo da tempo – e prodursi in proposte concrete, costruire soluzioni, impegnarsi a fondo per materializzare la prospettiva di “zero rifiuti” e zero inquinamento, rimane uno dei compiti dei comitati territoriali siciliani. Ma pensare davvero di perorare la causa degli impianti di Biogas e di Biomasse – nuovo obbiettivo del clan Musumeci e del fido Cocina, dirigente generale del dipartimento acqua e rifiuti – lascia l’amaro in bocca e solleva più di una perplessità.
Il nostro punto di vista è che questi impianti siano direttamente e indirettamente fonte di ulteriore inquinamento dei territori; siano opere socialmente inutili (tranne, ovviamente, per le finanze degli interessati alla loro costruzione) e che questi impianti rispondano ad un “modello di sviluppo” che non ci è congeniale, che altrove abbiamo definito predatorio, ostile e indifferente alla distruzione di territori e abitanti.
Sui pro e contro agli impianti di Biogas, tuttavia, esiste ormai una vastissima letteratura fruibile da chiunque. Noi invitiamo a leggere il Vademecum curato dal Gruppo di studio Comitatibiogas Manziana, scaricabile da qui.
Intanto è giusto ricordare che nel 2017 molti comitati e associazioni ambientaliste pugliesi inviarono un appello al presidente della regione Emiliano contro il progetto di impianti di biogas (e precisamente “impianti per il trattamento della frazione organica con processo di digestione anaerobico integrato dal compostaggio aerobico, con cogenerazione di energia derivante dalla combustione di biogas, recuperato dal processo digestivo della frazione organica”) che la Regione Puglia definiva tecnologia “consolidata e che assicura la massima tutela per la salute pubblica e la tutela dell’ambiente in tutte le sue componenti”. Nell’appello dei comitati pugliesi si spiegavano i rischi ambientali legati a quel tipo di tecnologia. Simile cosa è accaduta nelle Marche (chi è interessato può leggere un buon articolo qui).
Tuttavia ammettiamo pure che il biogas, come sostiene il governatore della Puglia Emiliano, sia una tecnologia “consolidata e che assicura la massima tutela per la salute pubblica e la tutela dell’ambiente” o che come lascia intendere Zanna, superato il pericolo dell’inceneritore in Valle del Mela, gli impianti di biogas rappresenterebbero le “altre soluzioni nella gestione dei rifiuti, più adatte, idonee e valide” concretizzabili “realizzando, finalmente anche in Sicilia, i necessari impianti, sostenibili, moderni e tecnicamente corretti”.
Ammettiamo insomma che quella del biogas sia una tecnologia buona, utile, sostenibile per l’ambiente e la salute dei cittadini. A questo punto il buon senso consiglierebbe la costruzione di impianti calibrati sul reale fabbisogno dei diversi territori (la legge finanziaria del 2008 prevedeva si trattasse di aziende agricole), dimensionati sul reale volume di FORSU prodotta in sito. Creare infatti impianti di media o grande dimensione, oltre a tutto il resto, comporterebbe un flusso veicolare di alto inquinamento. E invece no e non è un caso. Gli impianti di Biogas che propongono i “nostri” imprenditori sono di grandi e medie dimensioni. E sono di grandi e medie dimensioni perché l’obbiettivo è trarre profitto dal conferimento di FORSU, dalla vendita di energia prodotta e dai finanziamenti dello Stato. Più FORSU si produce più FORSU viene trattata e più intascano, più energia producono e più soldi guadagnano.
Nel caso di Lentini (ma vale anche per Francofonte e per tutti gli impianti in progettazione, compreso quello dell’A2A) si vorrebbe costruire una centrale di Biogas con una capacità di trattamento di 31 mila tonnellate/anno (99,36 tonnellate al giorno) mentre Lentini produce poco più di 3mila tonnellate di F.O.R.S.U. l’anno e manda in discarica poco più di 4 mila tonnellate di rifiuti l’anno. Lo stesso esempio vale per la Sicula Compost (ossia Sicula Trasporti) che a Lentini ne vuol compostare 70 mila tonnellate. Perché un dimensionamento che oltrepassa di gran lunga il fabbisogno del territorio in cui si vuol costruire l’impianto? Perché costruire l’impianto in prossimità della grande discarica della Sicula Trasporti? Che senso hanno discariche come quella della Sicula Trasporti di Grotte S.Giorgio-Bonvicino che raccoglie rifiuti da ogni dove di Sicilia per milioni di tonnellate?
Certo loro fanno impresa, fanno affari, fanno soldi, ma per Lentini significa migliaia di camion che portano munnizza da ogni dove, significa un impatto ambientale micidiale, significa guerra alla salute degli abitanti, significa un territorio che passa dalla produzione agricola (seppure ancora e dannatamente monoculturale) a filiera della munnizza, alla conversione dell’agricoltura per il cibo all’agricoltura per l’energia.
Che senso ha per i territori e per gli abitanti tutto questo? Nessun senso. Ha invece senso per il profitto di impresa e risponde ai nuovi criteri dei così detti “sistemi distrettuali”, delle filiere produttive che portano “valore aggiunto alle reti globali” (“Le imprese rimangono insediate su un territorio, o fanno nuovi investimenti su un territorio, se trovano convenienti i servizi offerti e le conoscenze accessibili attraverso il contesto locale”, recitano i teorici della nuova economia). In breve hanno il senso criminale di quello che chiamano “nuovo modello di sviluppo”.
Ecco che secondo noi diventa essenziale guardare a monte delle problematiche territoriali. E a monte delle problematiche territoriali non c’è semplicemente l’illegalità di certe iniziative imprenditoriali, ma una politica, una cultura ed una economia basate su un preciso e perfettamente legale modo di produzione; c’è un modello di sviluppo particolare e perfettamente legale che non tiene conto e non può tenere conto delle volontà degli abitanti e della sostenibilità sociale ed ambientale dell’operazione d’impresa. Il modo di produzione di cui parliamo è, infatti, quello che produce per il profitto e non per utilità sociale e il suo attuale modello di sviluppo è quello che mette al centro il mercato e, quindi, lo sfruttamento massimizzato delle risorse umane e territoriali ai fini della concorrenza e non certo per il bene comune.
A monte c’è, quindi, il processo produttivo, il suo tipo di sviluppo, la cultura che lo sostiene e la politica che lo protegge. A tutto ciò noi ci opponiamo. Ma opporsi non basta, ecco perché parliamo della necessità vitale di pensare e di lottare tenendo sempre presente nelle nostre rivendicazioni e nelle nostre proposte ciò che può essere congeniale ad un altro possibile modello di sviluppo. Ma cosa significa “un altro modello di sviluppo”, cosa significa mettere al centro il “bene comune”? Come far vivere e concretizzare questa tensione, seppur a livello embrionale, sui nostri territori?
“Altro modo di concepire produzione e sviluppo” e “bene comune” possono significare tutto e niente. Al riguardo basta pensare a ciò che ci dicono gli stigmatizzatori del cosiddetto NIMBY: “esiste un bene comune da perseguire nonostante l’opposizione della comunità locale. È un fatto di democrazia”. Naturalmente il bene comune di cui parlano è quello che LORO hanno stabilito essere il bene comune: es. il TAP, l’alta velocità, il ponte sullo stretto, il MUOS, le trivellazioni, l’elettrodotto che attraverserà la Sicilia… e così per le truppe in Medioriente, l’acquisto di caccia da combattimento, i contratti atipici, l’allontanamento dei richiedenti asilo, ecc. Nella “democrazia” di cui parlano di “demos” (il popolo) c’è molto poco e la “crazia” (il potere) è tutta loro, delle élite dominanti.
Per noi “altro sviluppo” e “bene comune”, “altra cultura” ed “altra politica” significano imparare a prendersi cura dei territori, imparare ad abitare ed esercitare il diritto di abitare. Lo abbiamo ripetuto tante volte: sono gli abitanti che debbono potere partecipare direttamente alle decisioni che riguardano l’economia della e per la comunità; alle decisioni che riguardano i modi e i versi del territorio urbano ed extraurbano; al riconoscimento del proprio patrimonio culturale, storico, ambientale. È questo che intendiamo per altro sviluppo e bene comune, altra cultura ed altra politica.
Le nostre proposte relative alla gestione dei rifiuti, seppure parziali e certamente insufficienti, si muovono proprio in questo senso:
– Municipalizzare la raccolta e la gestione, togliere cioè ai privati la gestione del ciclo dei rifiuti. I Comuni debbono farsi carico, nel bene e nel male, dei rifiuti che producono. Se l’obbiettivo essenziale rimane “zero rifiuti” attraverso la più estesa raccolta differenziata e il riciclo e quindi la chiusura di ogni discarica, responsabilità di ogni Comune – in attesa del raggiungimento di tale obbiettivo – è la costruzione e gestione di luoghi di raccolta dei propri rifiuti. Detto in altri termini: fine del luttuoso affare privato sui rifiuti.
– Incrementare la differenziata attraverso un piano comunale di incentivazione economica
– Aprire in ogni quartiere centri di raccolta della differenziata
– No agli impianti inquinanti, loro immediata chiusura e ricollocazione degli impiegati nelle opere di smantellamento e bonifica sotto controllo popolare (si rimanda all’interessante esperienza dell’Agro Caleno)
– Avvio immediato delle bonifiche degli impianti previsti così come di quelli esclusi dal piano regionale e che pur tuttavia rimangono inquinanti.
– Partecipazione diretta dei comitati territoriali alle decisioni che riguardano il territorio
– Azione diretta dei comitati territoriali nelle operazioni di sensibilizzazione cittadina alla “cultura della differenziata” e alla cura del territorio
– Operare per disincentivare le attività commerciali che non usano materiali biodegradabili
– Incentivare le attività commerciali che vendono prodotti confezionati con materiali biodegradabili
– Costruire centrali di compostaggio aerobico a gestione comunale o intercomunale.

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