Istat: nel 2030 la Sicilia perderà un milione di abitanti. Invertiamo la rotta

Istat: nel 2030 la Sicilia perderà un milione di abitanti. Invertiamo la rotta

Secondo le ultime ricerche dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) nel 2030 la Sicilia perderà circa un milione di abitanti. La prospettiva è che, nel giro di pochi decenni, l’isola resterà popolata soltanto da anziani e pensionati; mentre i giovani saranno tutti emigrati al Nord oppure all’estero.

Uno scenario a dir poco preoccupante. Eppure l’imponente fenomeno dell’emigrazione di migliaia e migliaia di giovani è uno dei grandi temi assente da tutti i programmi di governo nazionale e regionale degli ultimi anni. Anzi, dai piani alti sono sempre arrivate misure nordiste che hanno come unico obiettivo la concentrazione di ulteriori ricchezze e investimenti nelle aree del centro e del Nord. Ultimo, e non per rilevanza, il progetto di autonomia differenziata proposto da Salvini che prevede il trasferimento di alcune importati competenze finanziarie alle regioni già più ricche e attraversate dai maggiori flussi economici, ovvero Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Per il sud e per la Sicilia, invece, nessuna misura che miri a compensare il sottosviluppo economico e a porre fine allo spostamento in massa di giovani dalla propria terra verso le aree più ricche dello Stato per proseguire gli studi o per cercare lavoro. Per la nostra isola solo progetti di grandi opere inutili e con un forte impatto ambientale e sulla salute: basi militari, discariche, inceneritori, raffinerie. Pare che il piano dello Stato italiano sia quello di rendere la Sicilia terra da cui esportare continuamente ricchezze e in cui i giovani che ci vivono siano risorse intellettuali e forza lavoro da deportare in un Nord ricco, più sviluppato e con maggiori opportunità formative e lavorative. Funzionale a questo piano è che qui resti solo distruzione, disoccupazione e povertà così da convincersi che la Sicilia sia costitutivamente la terra in cui ci sono meno possibilità, quella in cui nessuno, soprattutto i giovani, vogliono fare nulla. Farci credere, insomma, che la responsabilità delle condizioni in cui versa la Sicilia sia dei siciliani stessi e non di chi amministra la cosa pubblica. I siciliani che hanno davvero voglia di fare, di assicurarsi un futuro, sono quelli che scelgono di partire e abbandonare la loro terra. Tutto sotto il segno della “libera scelta”; come se in un sistema socio-economico che fissa modelli e obiettivi da raggiungere ad ogni costo ma non offre gli strumenti per conseguirli nella propria terra, ma solo fuori, di fronte al ricatto «emigrazione o miseria», la scelta della partenza non si chiami costrizione.

Il mondo della formazione presenta evidenti contraddizioni in termini di differenze di investimenti fra Nord e Sud. Su 180 dipartimenti finanziati 155 (l’86%) sono del centro-nord e si concentrano a Bologna, Padova, Milano, Torino, Firenze e Roma. Solo il 14% sono del Sud e buona parte di questi in Campania. I finanziamenti alle università siciliane si sonno ridotti del 30% dal 2008 al 2015 e parallelamente circa 51.441 giovani siciliani hanno scelto di continuare gli studi nel Settentrione; in percentuale il 25,6% dei 685mila studenti meridionali sono iscritti in università del centro e del nord Italia. Su Palermo parliamo di una perdita di quasi 20.000 iscritti. I dati Istat ci indicano che questi numeri continueranno ad aumentare; le proposte del MIUR riaffermano l’intenzione di incentivare il meccanismo sproporzionato di distribuzione delle risorse. Anziché portare avanti politiche che finanzino le Università in difficoltà, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca propone l’attuazione del tanto contestato art.1 comma 2 della legge Gelmini attraverso il quale gli atenei considerati “virtuosi” (tutti nel centro e nel Nord d’Italia) godrebbero di totale autonomia soprattutto dal punto di vista economico-finanziario. L’obiettivo piuttosto che fermare l’emigrazione giovanile pare essere quello di definirla per legge.

Rispetto all’ambito lavorativo, i dati certificati dalla Commissione europea parlano di un tasso di disoccupazione giovanile attestato al 53,6% nel 2018. La Sicilia occupa, così, le primissime posizioni per numero di giovani senza lavoro in Europa, oltre a rappresentare, ovviamente, la prima regione in Italia. I dati sono in peggioramento in accordo a un aumento della precarietà, del lavoro non retribuito e del lavoro informale (anche questo sotto attacco).

In un contesto simile facile risulta credere alla promessa di un futuro migliore lontano dalla nostra terra, più difficile smascherare la falsa narrazione di chi vede nello sradicamento dal nostro territorio, nell’emigrazione di massa, soprattutto di giovani, l’opportunità per aumentare i profitti in modo direttamente proporzionale allo sfacelo dell’economia del nostro territorio. Dentro lo scenario preannunciato dall’Istat bisogna intervenire per ribaltare il piano e invertire la rotta. Serve de-costruire la narrazione dominante dell’isola e dei siciliani per costruirne una nuova che non racconti solo della mancanza di futuro per i giovani ma che individui in chi sta ai piani alti e nei loro progetti le cause del sottosviluppo e dell’emigrazione siciliana. Serve mettere in piedi un Piano che parta dal basso e renda protagonisti i giovani. Ma prima di ogni altra cosa serve scegliere di restare per cambiare le sorti della Sicilia.

 

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