Cateno, “why not have it all”?

Cateno, “why not have it all”?

di Luigi Sturniolo

Dei personaggi de La Casa di carta Cateno De Luca condivide il metodo.
De Luca ha un piano, un esercito e il consenso. Agli altri rimane il risentimento e quell’aria snob che li tiene al sicuro, ben lontani dal popolo.
Per alcuni dei suoi detrattori De Luca non la conosce nemmeno La Casa di carta. E perché mai? La serie televisiva spagnola è stata la seconda più seguita in Italia nella passata stagione. Insomma, lo fate al di sotto della media?
La verità è che, anche questa volta, il buon Cateno se li è portati tutti a spasso. Li ha provocati, si è fatto inseguire fin lì dove lui è di casa e se li è mangiati. Così, l’opposizione politica messinese, priva di contenuti, a parte rare eccezioni, è rimasta con un palmo di naso. Sola, incapace di capire che un tempo le elezioni si vincevano con le clientele, mentre oggi il potere è impotente e le elezioni si vincono sul terreno dell’immaginario.
Eppure, in questa occasione De Luca si è inoltrato su un terreno impervio anche per lui. La Casa di carta è la dimostrazione che il popolo è ancora ribelle, almeno nei desideri, almeno nei propri sogni. Tokyo e i suoi compagni sono banditi e lo spettatore sta con loro. Gli unici sbirri buoni sono l’ispettrice Raquel Murillo (l’attrice, Itziar Ituño, è una militante indipendentista), che lascia la polizia e scappa con il Professore, e il suo innamorato un po’ sfigato che alla fine decide di esserle complice.
La Casa di carta è un manifesto dell’amore ribelle, illegale. Tokyo mette a ferro e fuoco il mondo per salvare Rio dalle torture dell’ispettrice Sierra, così come Rio aveva rifiutato di arrendersi alle guardie che assediavano la zecca spagnola. 《La bandiera bianca la sventolo solo quando segna il Real Madrid》- risponde alla sua amata che lo invitava a salvarsi. Monica Gatzambide in un micro secondo decide che non vuole tornare a fare l’impiegata, raccoglie il mitra da terra e copre Denver sparando sui poliziotti che fanno irruzione. Berlino, ormai prossimo agli esiti della sua malattia, decide di celebrare, sulle note di Bella ciao, il suo amore per la vita, regalandola ai compagni in fuga.
La Casa di carta spiega la distanza tra legalità e giustizia e lo fa con modalità un po’ populiste, se vogliamo, ma lo fa bene. Per questo il popolo sta con i rapinatori, perché è più criminale fondarla una banca che rapinarla. Certo, il Professore è un vero leader politico. Sa come si conquista e si mantiene il consenso. Sa che finché avrà il consenso la polizia farà fatica a sfondare le loro barricate e la banda potrà continuare a stampare soldi (e perché mai dovrebbe essere disdicevole? Non lo fa tutti i giorni la Banca Centrale?).
E’ tutto qui il cortocircuito comunicativo di De Luca. Il bandito, che lui interpreta vestendo la maschera di Salvador Dalì, è nemico dello Sceriffo, che lui interpreta con i suoi blitz. C’è un momento, cioè, in cui anche la vena istrionica di Cateno s’impunta, entra in contraddizione. Certo, Cateno è un populista e sa che i blitz gli portano consenso, diventandone un consumatore compulsivo. Sono la sua forza, ma anche il suo limite. Lo tengono ancorato a un dimensione circoscritta, gli impediscono di raggiungere l’universalismo ribelle del Professore e dei suoi compagni.
La nuova “mascherata” di Cateno è il segno di una discontinuità, di una “crisi di crescita”? Ci sarebbe da augurarselo. Lo vedremo. Se oltre a chiudere le transazioni con i creditori al 50% (ottimo risultato, molto prossimo alle condizioni offerte dalla dichiarazione di dissesto), spiegherà ai cittadini perché sono costretti a fare sacrifici, se aprirà quelle carte e ci dirà chi ci ha derubato, il popolo lo amerà, così come ama i banditi de La Casa di carta. E magari, poi, un giorno potrebbe asserragliarsi dentro Palazzo Zanca e stampare moneta locale, così da farci vivere tutti nell’agiatezza.

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