Messina ai messinesi! La città è di chi la abita.
Le città sono di coloro che le abitano. A questi tocca di gioirne e soffrirne. A questi tocca di farsene carico, assumersene la responsabilità. Le istituzioni che gli abitanti si danno dovrebbero servire a organizzarne la convivenza, a garantirne i servizi, a consentirne la partecipazione. Per questo le istituzioni possono essere più o meno democratiche. Lo sono sulla base del maggiore o minore coinvolgimento dei cittadini nei meccanismi decisionali.
Sette anni fa 27 milioni di elettori hanno deciso che i servizi pubblici devono restare tali, che su di essi non si può fare profitto. Quel referendum voleva impedire che dai servizi potessero essere escluse le fasce popolari e che i bilanci pubblici venissero aggrediti dalla logica d’impresa che, in quanto tale, espropria ricchezza ai cittadini per consegnarla nelle mani dei privati. Quel referendum nasceva dalla consapevolezza che se cedi parte delle risorse pubbliche ai privati le togli ai cittadini. Dalla consapevolezza che la presunta maggiore efficienza della logica di mercato applicata alla gestione dei servizi pubblici fosse solo un trucco.
L’imponente azione di risanamento finanziario del Comune di Messina rischia di ritorcersi contro i cittadini se, come sembrerebbe, la visione di città del sindaco De Luca risultasse inscritta dentro il paradigma della logica di mercato e delle privatizzazioni. L’estrazione di ricchezza pubblica, operata per anni da una classe politica che ha usato il Comune come bancomat o come strumento per costruire consenso clientelare, verrebbe pagata dagli abitanti della nostra città due volte se i servizi pubblici, il patrimonio immobiliare pubblico e il territorio andassero incontro, magari in seguito a un’azione di ottimizzazione delle risorse, a un processo di privatizzazione.
Non ci appartiene alcun feticismo della proprietà, fosse anche quella pubblica, e riteniamo che se c’è da vendere un bene perché le risorse ricavate si utilizzino per garantire servizi e qualità della vita sia un errore attaccarsi a principi di carattere ideologico, magari assistendo al degradarsi progressivo di beni ai quali il Comune non è in grado di offrire la necessaria manutenzione. Riteniamo, però, orribile una città nella quale ai servizi si accede in ragione della propria disponibilità economica, riteniamo brutta una città disegnata dalla logica del guadagno, riteniamo invivibile una città nella quale i cittadini non siano messi nelle condizioni di poter partecipare alle scelte che si operano sul proprio territorio, nella quale la comunicazione sia unidirezionale (da uno a tutti).
Ecco, ci sembra che la strategia messa in campo dal sindaco De Luca vada proprio verso un progetto di generale privatizzazione. A dimostrarlo è l’idea, più volta espressa, che i servizi pubblici locali (pensiamo al trasporto locale, al servizio idrico, allo smaltimento dei rifiuti) non possano che essere gestiti con Società per Azioni, l’idea che il patrimonio immobiliare pubblico debba essere messo a bando (“al miglior offerente” ha detto nei giorni scorsi da Sindaco della Città metropolitana, tradendo un tono quasi da svendita), l’idea che gli spazi pubblici debbano essere ceduti in concessione secondo logiche di mercato (pensiamo a quanto espresso nei giorni scorsi a proposito di Villa Dante).
Se, come dice De Luca, i conti stanno tornando in ordine (a dire il vero qualche dubbio noi continuiamo a nutrirlo nonostante alcune giuste azioni di risanamento finanziario) che bisogno c’è di procedere a tale svendita? Perché non cercare dentro le modalità pubbliche, liberate dalle consorterie partitico-clientelari, la strada per una gestione efficiente della cosa e dello spazio pubblico? Perché non sperimentare dispositivi amministrativi (e ce ne sono tanti: concessioni senza fini di lucro, regolamenti d’uso, consulte popolari, bilancio partecipato) che consentano di cedere ai cittadini parte dei servizi e del patrimonio pubblico fuori dalla logica di mercato e attraverso meccanismi partecipativi?
Anche in questo non c’è nel nostro pensiero alcun rigurgito ideologico. Pensiamo a una Città Comune come una città più efficiente, capace di rispondere alle esigenze di un territorio che vuole salvarsi, che vuole essere all’altezza dell’intelligenza che il futuro richiede, che possa dire ai giovani che qui si vive meglio, che è più interessante restare anziché andarsene.
Laboratorio Territoriale