Classifica Qualità della vita 2019: fotografia della Sicilia colonia
Sono stati resi noti ieri i risultati dell’edizione 2019 della Qualità della vita del Sole 24 ore.
L’obiettivo pare essere quello di fotografare al meglio la complessità dei nostri territori, stilando una classifica delle 107 province italiane, evidenziando le località in cui si vive meglio e quelle dove, invece, si concentrano le maggiori criticità.
Questa classifica tiene conto di 90 indicatori suddivisi in sei macro-categorie tematiche valide per questa indagine dal 1990: ricchezza e consumi, affari e lavoro, demografia e società, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, tempo libero.
La raccolta dei dati quest’anno è partita a gennaio e ha visto l’introduzione di nuovi indicatori. Per la prima volta, ad esempio, è stato elaborato un Indice del clima che attraverso sotto-indicatori esprime le specificità climatiche dei luoghi. Per quanto riguarda la macro-categoria “Ricchezza e consumi” è stato preso in considerazione il valore di indebitamento delle famiglie. Novità sono state introdotte anche in merito al metodo di calcolo.
Quello che, invece, non pare essere cambiato di molto è il risultato finale.
Riconfermata, infatti, Milano come prima in classifica. Subito dopo, si confermano le piccole località dell’arco alpino che figurano tra i vertici della classifica fin dalle prime edizioni: Bolzano, Trento e Aosta. Seguono Trieste, Monza e Brianza, Verona, Treviso, Venezia e Parma.
Anche quest’anno la classifica fotografa una profonda spaccatura fra le due parti del Paese.
Su base regionale, gli indicatori utilizzati per la raccolta dati del Sole 24 ore premiano le regioni del Nord mentre penalizzano gravemente la Sicilia. Gli ultimi posti della classifica, infatti, sono, ancora una volta, occupati da province siciliane.
Caltanissetta occupa l’ultima posizione in assoluto, è la città meno vivibile d’Italia. La migliore – ma comunque nell’estremo basso della classifica – è Ragusa che si piazza all’ottantesimo posto. Subito dopo, alla posizione numero 90, Siracusa. Continuando a scendere, di male in peggio, all’undicesimo posto fra le peggiori, c’è Catania, che perde 13 piazze e precede di un’incollatura Palermo, arretrata di 11 caselle. Infine, Messina al centesimo posto, poi Trapani e Agrigento. Ultime Enna (104°) e Caltanissetta che chiude la classifica.
《Una Sicilia paralizzata dalla burocrazia e dalla carenza di tecnici alla Regione. Le province sono in coda alla classifica nazionale e lo saranno ancora per 15-20 anni》- afferma il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, a Gela, commentando la classifica sulla qualità della vita. 《La Sicilia e’ nelle classifiche nazionali ultima da 73 anni》 – prosegue – 《e lo sara’ per molto se non cambieremo mentalità.》. Chiude il discorso affermando che in quanto Presidente della Sicilia deve rendere conto solo al popolo siciliano.
In effetti, risultano condivisibili entrambe le ultime dichiarazioni, ma solo se si aggiungono alcune precisazioni. Riguardo la mentalità, è assolutamente vero che deve cambiare, ma quella di chi amministra la cosa pubblica perché è del ceto politico siciliano la colpa delle condizioni disastrose in cui versa la Sicilia. Non ci si stupisca, a posteriori, osservando una nuova classifica che fotografa la stessa triste realtà. Soprattutto non si lascino passare senza critiche affermazioni che addossano unicamente ai siciliani, alla loro negligenza o a una presunta “mentalità” errata le cause del disastro.
L’ultima affermazione:《devo rendere conto solo al popolo siciliano》, è tanto corretta quanto falsa. Forse per svista, Musumeci ha dimenticato di precisare che in teoria dovrebbe essere così, ma che in pratica non lo è mai stato visto che i partiti politici siciliani, tutti, sono da sempre completamente asserviti a quelli italiani e fanno gli interessi di tutti tranne che dei siciliani.
Per citare solo un esempio, mentre si raccolgono i dati per stilare drammatiche classifiche, mentre la gente abita queste città “invivibili” – o, più spesso, le abbandona – il Presidente della Regione piuttosto che occuparsi di come risanare il gap Nord-Sicilia, organizza trasferte al Nord per confermare il proprio appoggio a riforme politiche promosse da partiti italiani che hanno a cuore solo gli interessi del Settentrione. Ci riferiamo al progetto di autonomia differenziata disegnato per le regioni più ricche d’Italia che, se approvato, avrebbe come unico risultato l’aumento del divario tra le due parti della penisola. Tutto con il consenso del governo siciliano. L’accordo consentirebbe a una città come Venezia di ricevere 5 miliardi e mezzo più 150 milioni l’anno per dieci anni. In tutto il Sud arriverebbero solo 300 milioni di euro l’anno per 10 anni attraverso il fondo di perequazione che serve per combattere il divario infrastrutturale. Se le proposte politiche si muovono in questa direzione, non ci si potrà stupire allora se Venezia continuerà a offrire una qualità della vita migliore rispetto ad Agrigento.
Sentiamo continuamente parlare di unità e dell’importanza di mantenerla a ogni costo, ma in realtà è proprio la dipendenza della Sicilia dallo Stato italiano (mantenuta con la complicità dei partiti locali) che ci ha condotti a questa situazione.
Siamo arrivati a questo punto, soffriamo la più bassa qualità della vita e il più alto tasso di emigrazione, dentro lo Stato italiano e a causa delle politiche condotte dai partiti nazionali. La soluzione, dunque, non può essere un rafforzamento dello Stato, né tantomeno l’affidarsi a questo o quell’altro partito. L’unica via è la costruzione di Indipendenza politica, economia e sociale dallo Stato e dall’attuale modello di sviluppo che ci ha condotti verso il baratro.