Sant’Agata, la protettrice della città etnea
La festa di Sant’Agata, santa protettrice della città di Catania, è una tra le più belle in Sicilia: dal 3 al 5 febbraio, tre giorni di culto, devozione, folklore, tradizioni popolari.
La storia di Agata
Agata nacque da una famiglia nobile, per tradizione catanese, intorno al 230 d.C. Ricevette un’educazione cristiana, nonostante nella Catania del tempo, sotto la dominazione romana, non era semplice professare la propria fede. Negli anni tra il 250 e il 251 d.C, divenne proconsole della città Quirino che, conosciuta la giovane Agata, se ne invaghì. Il servitore dell’imperatore, venuto a conoscenza della consacrazione a Dio della giovane, le ordinò di rinnegare la sua fede. Al rifiuto di Agata, Quirino decise, invano, di affidarla alla cortigiana Afrodisia, allo scopo di corromperne lo spirito e la fede. Così, Quirino avviò un processo che la condannerà al carcere. Agata rimase ferreamente legata alla sua fede: digiuni, torture e fustigazioni (come quella dell’atroce strappo delle mammelle) non la fecero barcollare. Si racconta, inoltre, che durante l’ultima delle sue torture, posta su un letto di tizzoni ardenti, il velo rosso, simbolo della sua consacrazione a Dio, non bruciava. Morì in carcere il 5 febbraio 251.
Dai racconti della tradizione, a un anno esatto dalla sua morte, vi fu una colata lavica che minacciò la città e che fu fermata proprio dalla giovane Agata che da lì a poco venne proclamata Santa. Inizialmente seppellita nelle catacombe cristiane della collina di San Domenico, dopo l’Editto di Costantino del 313, il corpo della Santa fu portato nella Chiesa di Santa Maria di Betlemme. Tra il IV e il V secolo, il corpo venne trasferito nella Chiesa di Sant’Agata La Vetere. Le reliquie furono in seguito trafugate e portate a Costantinopoli nel 1040.
Nel 1126 due soldati dell’esercito bizantino le rapirono e le consegnarono al vescovo di Catania, Maurizio, nel castello di Aci. Il 17 agosto 1126 le reliquie rientrarono definitivamente nella Cattedrale di Sant’Agata, Duomo di Catania, dove vengono oggi conservate, in parte all’interno del prezioso mezzobusto in argento e in parte dentro lo scrigno, anch’esso d’argento.
La storia della festa di Santa Agata
La prima occasione ufficiale per festeggiare Sant’Agata si presentò quando ritornarono a Catania le spoglie della Santa che erano state trafugate. Era il 17 agosto 1126 e durante la notte i cittadini si riversarono nelle strade della città per ringraziare Dio di aver fatto tornare, dopo 86 anni, le spoglie della amata martire Agata. Inizialmente di natura esclusivamente liturgica, fu solo con la costruzione della “vara” nel 1376 che i festeggiamenti cominciarono ad assumere una forma più vicina a quella odierna con l’inizio delle processioni per le vie della città di Catania.
Gradualmente, alla festa puramente religiosa, si affiancò una festa più popolare, voluta dal Senato e dal popolo, in cui alle liturgie si affiancarono spettacoli di natura diversa.
Dal 1712, vista l’importanza crescente dell’evento, le giornate dei festeggiamenti divennero due, probabilmente perché la città si era espansa talmente tanto che non bastò più un solo giorno per il giro dei diversi quartieri. La festa ai giorni nostri dura dal 3 al 5 febbraio, concludendosi sempre più spesso nella tarda mattinata del 6.
La Festa di Santa Agata oggi
La giornata del 3 Febbraio si apre con la processione per l’offerta della cera in cui sono presenti cittadini, devoti e turisti, anche le più alte cariche religiose e istituzionali della città. Si conclude la sera in Piazza Duomo con il caratteristico e molto atteso spettacolo pirotecnico dei fuochi del 3 febbraio. La vera festa religiosa ha inizio la mattina del 4 febbraio con la messa dell’Aurora, quando il busto reliquiario di San’Agata viene portato fuori dalla stanza che lo custodisce e consegnato ai devoti che lo porteranno in processione. Nella mattina del 5 febbraio ha luogo la messa del Pontifice, presieduta dalle più alte cariche religiose e dal clero. Durante tutta la giornata, il busto reliquiario della santa rimane esposto presso la Cattedrale.
Tradizioni legate alla festa di Sant’Agata
La festa di Sant’Agata ha rappresentato per le donne della città, tramite la maschera della ‘ntuppatedda, un momento di liberà, in cui potevano essere per poche ore «padrone di sé». Le ‘ntuppatedde erano figure femminili che, fino alla metà dell’Ottocento, si velavano il viso per non farsi riconoscere. La festa coinvolge tutta la città in una sospensione spazio-temporale: le luci e i colori delle candelore, le vare decorate minuziosamente, i devoti e il tipico vestiario del “sacco”, i fazzoletti bianchi che sventolano al passaggio della Santa, l’«acchianata» di San Giuliano, in cui il fercolo viene trasportato con andamento veloce, il meraviglioso canto delle suore di clausura in via Crociferi, le processioni che, citando Verga, sono un «gran veglione di cui tutta la città è il teatro». In questo periodo è anche tipico il dolce delle “minne di Sant’Agata”, chiamate così per la loro forma. Sono dei dolcetti tipici della pasticceria catanese preparati con un guscio semi sferico di pasta frolla e farciti con ricotta, cioccolato e canditi. La presenza della Santuzza, attraverso l’iconografia, echeggia in tutta la città: da San Cristoforo agli Angeli, da San Cosimo ai Benedettini fino al Fortino, passando dall’Antico Corso e scendendo giù per San Berillo arrivando alla marina fin dentro la pescheria. Diverse, inoltre, sono le attività commerciali votive dedicate alla Santa protettrice della città, tramandate di generazione in generazione come atti di speranza, di devozione e credenza, luoghi in cui si respira la cultura popolare.
Riprendendo un’intervista di Mario Di Mauro della comunità Terra e Liberazione, “Agata” è stata regolarmente presa in ostaggio dal potere di turno, ma non è la prima volta. Agata appartiene al suo popolo, “il Popolo del Mondo” che non si piega alla prepotenza. È una lezione vivente di resistenza al potere, ma è, dal profondo, anche una proiezione meta-storica di quella forza mentale della Grande Madre che – trasmigrando in forme mutevoli – tiene ancora in vita l’anima resistente del popolo siciliano.