Indipendentismo e lotta sindacale in Corsica. Intervista a Jean-Luc Morucci.
Il 31 dicembre si sono concluse in Corsica le elezioni sindacali dei rappresentanti nelle piccole imprese. Il sindacato dei lavoratori corsi (STC) ha vinto con il 52%. Si conferma, così, la continua crescita e la radicalizzazione territoriale di un sindacato attento sia alla difesa degli interessi immediati dei lavoratori, sia alla lotta di liberazione nazionale. Abbiamo intervistato Jean-Luc Morucci, dirigente del STC, per saperne di più sulla sua organizzazione sindacale e sul rapporto tra la lotta per l’indipendenza e quella per l’emancipazione dei lavoratori.
1) Quale è l’attività di un sindacato indipendentista corso? Perché nasce e come si raffronta con l’attività dei sindacati francesi?
L’attività del Sindicatu di i Travagliadori Corsi è quella di un vero sindacato che aiuta i lavoratori a difendere i propri interessi, mobilitarsi, solidarizzare con la lotta degli altri lavoratori, in vista della liberazione sociale, e con quella di tutto il popolo, in vista della liberazione nazionale. Il STC nasce nel 1984, dopo che i militanti nazionalisti hanno consumato l’esperienza all’interno dei sindacati francesi. Quei sindacati difendono, e non sempre in modo efficace, gli interessi immediati dei lavoratori, ma senza tenere in conto la dimensione collettiva della lotta del popolo corso; essi hanno una concezione “giacobina”, secondo la quale i corsi sono parte del popolo francese, di cui rappresentano semplicemente una varietà culturale più o meno folkloristica. Pertanto non considerano il STC un sindacato, ma un gruppo politico: i fatti, le elezioni sindacali, danno loro torto…
Il sindacato è una organizzazione nata dalla volontà della direzione politica del movimento nazionalista di occupare tutti i terreni della lotta, politica, culturale, economica, sociale; l’obiettivo è di costruire strumenti adatti, “contro-poteri”, per permettere al popolo corso di disporre di se stesso, (ri)conquistare la sovranità, esercitare il diritto all’autodeterminazione. In questa prospettiva strategica, il diritto all’autodeterminazione non consiste nell’organizzazione di un semplice referendum per rimanere francese o rendersi indipendente: all’indipendenza non si arriva con un voto. Infatti, i legami di dipendenza hanno fatto del nostro popolo un popolo dominato, colonizzato, che non è in condizione di scegliere in piena libertà. Il diritto all’autodeterminazione si deve conquistare, costruire, in un processo per il quale e nel quale i nazionalisti hanno il compito di aiutare il popolo a dotarsi di tutti gli arnesi necessari a determinare il proprio destino, in particolare sul piano istituzionale, senza che si deleghi ad altri la scelta di autonomia, indipendenza o altro.
2) Quale è la situazione attuale del movimento dei lavoratori corsi rispetto alla crisi ed alla “loi travail”?
La situazione non è mai stata facilmente gestibile; per questo abbiamo costruito il sindacato nelle piccole imprese e nelle microregioni, terreni su cui nessun sindacato era mai intervenuto. Il codice del lavoro permetteva di applicare ad una impresa le regole del settore professionale, la cosiddetta “convenzione collettiva”. Con la “loi travail” queste regole sono state rovesciate: l’accordo firmato all’interno di un’impresa si sostituisce alla convenzione, per cui sarà più facile per esempio abbattere il costo del lavoro!
Ci sono state molte manifestazioni contro la “loi travail”, ma i sindacati francesi non hanno permesso al movimento di andare molto lontano: la CFDT (Conférédation Francaise Démocratique du Travail) ha sostenuto il governo e gli altri sindacati non hanno appoggiato lo sciopero generale, unico mezzo per bloccare la legge.
3) Cosa è cambiato per i lavoratori con la vittoria nazionalista corsa alle ultime elezioni regionali?
La vittoria dà ai lavoratori corsi una rappresentanza politica attenta ai loro problemi. Il sindacato ha sempre evidenziato il legame tra la condizione concreta dei lavoratori, i loro diritti e il futuro dell’isola. In molti campi le nostre rivendicazioni sono sempre più tenute in conto. Siamo una forza propositiva nella elaborazione di accordi collettivi regionali più vantaggiosi di quelli nazionali, nell’utilizzo della lingua corsa come mezzo d’integrazione. Il STC adesso è il primo sindacato in ogni elezione sindacale; si è affermato sia nel settore privato sia nelle tre funzioni pubbliche: territoriale, statale e ospedaliera. Per queste ragioni i lavoratori lo riconoscono come strumento di lotta. Tuttavia abbiamo ancora tanti problemi irrisolti…
4) Come si combina il cammino verso l’indipendenza con la lotta sindacale classica, sui posti di lavoro?
La società corsa è dominata dal “clanismo”: ciò significa che il lavoro è considerato una merce di scambio, un compenso per i voti del “clan”. I rapporti di lavoro si manifestano perciò come rapporti di dipendenza; chi dà il “posto”, sia esso un politico o un datore di lavoro, appare come colui che detiene il potere quasi per legge di natura. Per il sindacato, la strada è chiara: questa relazione di dipendenza va trasformata in una relazione regolata da un contratto che prevede mutui diritti e doveri. Dall’inizio, il STC ha considerato il Codice del Lavoro come un piccolo “libretto rosso” rivoluzionario. Esso prevede la creazione di sezioni, la nomina di delegati sindacali, l’elezione dei “delegati dei lavoratori” e dei rappresentanti operai nei comitati. Il STC è radicato nelle microregioni, anche dove non esiste alcuna tradizione sindacale; cosi, il suo sviluppo ha valore strategico in quanto implica la costruzione di contropotere.
5) Quale è il percorso di “liberazione sociale” che proponete, in altre parole che “modello di società” avete in mente?
Impegnato nella battaglia quotidiana per difendere concretamente gli interessi materiali e morali dei salariati, il nostro sindacato aiuta il lavoratore a prendere il proprio posto nella società. Il STC sostiene che una persona che si guadagna la vita col proprio lavoro, non deve niente a nessuno e gode di diritti che vanno rispettati. Alla umiliazione di chi si sente “obbligato” ad altri e che perciò non può che tacere, la lotta sindacale rivendica la possibilità di affermare la dignità del lavoratore, di chi vende la propria forza di lavoro negoziandola al meglio del rapporto di forza che, all’interno della sua categoria sociale, è in grado di imporre. Il sindacato si rivolge a tutti i lavoratori qualunque sia “la loro opinione politica, filosofica o religiosa, e la loro origine etnica” (art. 2.1 dello Statuto). Non si tratta di una posizione ideologica ma di una considerazione concreta, per la quale il lavoro costituisce il fondamento della vita sociale. Rivendicando il lavoro come un diritto, lottando per l’adeguamento degli stipendi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, i lavoratori dimostrano di essere socialmente responsabili; mostrano di essere gli attori dello sviluppo del paese e di giocare un ruolo propulsivo per l’intera società. La liberazione sociale e la liberazione nazionale sono legate e complementari.