Lettera di un’insegnante siciliana a Lagalla
Riceviamo e pubblichiamo, di seguito, la lettera che un’insegnante della scuola pubblica siciliana ha rivolto all’Assessore regionale all’istruzione e alla formazione professionale, Roberto Lagalla.
«In questi giorni di emergenza, costretti in casa, non manca di certo il tempo per le riflessioni. Alcune le voglio rivolgere a lei, assessore Lagalla.
Il privilegio di noi insegnanti è quello di svolgere un lavoro che ci dà la possibilità continua e costante di trasmettere e imparare noi stessi attraverso l’interazione con i nostri alunni e con i colleghi. In questo modo riusciamo anche a incidere sulla realtà. Una responsabilità enorme, a cui non ci sottraiamo.
Ci insegna Paulo Freire che educare è un atto politico, dato che gli esiti dell’atto educativo determinano la particolare configurazione dello spazio sociale. Educare significa non solo insegnare a leggere, scrivere e contare, ma anche insegnare ad ascoltare, parlare, gridare. Compito della scuola è insegnare la lettura critica del mondo, l’esperienza è il punto di partenza del processo educativo.
Da questa esperienza c’è molto da imparare!
In queste settimane ci è stato chiesto di tirarci su le maniche e di sperimentare nuove pratiche di didattica a distanza, di improvvisarci esperti informatici, producendo video, quiz online, mappe interattive, mettendo in piedi video lezioni con mezzi e strumenti molto spesso non all’altezza. E noi insegnanti abbiamo risposto. Ci siamo prodigati, ognuno con specifiche capacità e attitudini, per non fare sentire l’assenza agli studenti, per non aggiungere strappi a una condizione già traumatica in sé.
Anch’io nel mio piccolo ci provo a stare vicina ai miei alunni e alle mie alunne, a ricostruire il senso di comunità che c’è dentro la classe, a non fargli mancare un punto di riferimento e tutti gli strumenti necessari per l’analisi del periodo che stiamo attraversando. Ma devo dire che non mi piace per niente e rabbrividisco al pensiero che possa essere considerata la scuola del futuro. È il modo più inadeguato, iniquo, squilibrato e classista che esista di fare scuola, perché fa parti uguali tra chi ha diversi bisogni e strumenti a disposizione.
Da questa esperienza i miei alunni e le mie alunne hanno imparato che si può rinunciare a molte cose, ma non a una scuola intesa come processo collettivo, che non può fare a meno di persone, di condivisione, di empatia, di realtà e di continuità.
Caro Assessore, ho letto con stupore le sue dichiarazioni che hanno interrotto un sostanziale silenzio nei confronti degli sforzi del mondo della scuola siciliana, in cui ha sottolineato la necessità in questa fase di «assicurare la migliore continuità possibile dei processi di apprendimento». Spero allora che questa necessità sarà capace di sottolinearla anche quando l’emergenza sarà passata, quando torneremo nelle nostre scuole fatiscenti, dove continueranno a mancare banchi, sedie, libri, lavagne.
Caro Assessore, la continuità dei processi di apprendimento è importante in emergenza, ma è fondamentale sempre. La si garantisce stabilizzando le migliaia di docenti precari che svolgono il proprio incarico nella scuola siciliana ricominciando ogni anno da zero. La continuità dei processi di apprendimento la si garantisce incrementando il tempo scuola e i posti in organico di diritto, una mossa che contribuirebbe a contrastare la dispersione e l’abbandono scolastico che in Sicilia raggiungono numeri preoccupanti. Inoltre, per migliorare la qualità dell’offerta formativa a disposizione degli alunni è indispensabile ridurre il numero degli studenti per classe, anche alla luce delle condizioni in cui versa l’edilizia scolastica siciliana.
Caro Assessore, vorrei invitarla, dunque, a utilizzare questo periodo di quarantena non solo per riflettere su soluzioni imminenti per una condizione di emergenza passeggera, ma anche per iniziare a programmare e predisporre interventi sull’ordinarietà della scuola pubblica siciliana».