Intervista a un militante di Amnistiaren Aldeko Eta Errepresioaren Aurkako Mugimendua
Raccontaci a quale collettivo appartieni, di cosa vi occupate e quando si è formato.
Questo movimento nasce per iniziativa di ex prigionieri politici nel 2011, dopo la decisione da parte di ETA di cessare definitivamente la lotta armata ed in seguito al dissenso nato con la linea intrapresa dalla maggioranza della sinistra abertzale.
Un altro dei motivi che ha spinto questi compagni è stato quello di riportare ai prigionieri politici baschi la possibilità di avere un ruolo decisionale, di esprimere una loro opinione all’interno della discussione del processo unilaterale di risoluzione del conflitto, quindi di ridare potere decisionale al carcere, ai prigionieri politici; secondo me c’è infatti un errore nelle decisioni della sinistra abertzale, ovvero quello di un’uscita individuale dalla condizione di prigioniero politico, che consiste nel firmare una dichiarazione dove si prendono le distanze dalla lotta.
La nostra assemblea sostiene che la rivendicazione per l’amnistia è un po’ vuota, che si è allontanata dalle strade, che la sinistra abertzale ufficiale nella sua agenda, nella sua pratica politica quotidiana, non parla di amnistia, e quindi abbiamo ritenuto opportuno organizzare assemblee informative in tutta Euskal Herria; dopo quelle assemblee si arriva alla conclusione di creare un manifesto dove si dice che è necessario ritornare a quella che è la rivendicazione storica dell’amnistia, che manca oggi nelle rivendicazioni della sinistra abertzale ufficiale, come dicevo.
Il collettivo rivendica l’amnistia in tutta la sua totalità, che non si limita solo al concetto della liberazione dei prigionieri, ma che chieda la soluzione del conflitto, che è la causa che crea i prigionieri; viceversa senza di essa le carceri continueranno a riempirsi di compagne e compagni.
La radice del conflitto non è solo un problema nazionale, ma si tratta di un conflitto di natura sociale, di classe.
In seguito è avvenuto il passaggio della creazione di un’organizzazione con un livello di assemblee locali, con una diffusione soprattutto a Bilbao e nei vicini comuni dove c’è una forte presenza operaia; comunque ad oggi siamo presenti fino ad Iparralde.
Il funzionamento interno di questo movimento è orizzontale, assembleare, con una decisionalità della base fatta in assemblea; ci sono dei compagni che fungono da portavoce, ma comunque queste posizioni hanno una rotazione.
In qualcuna di queste assemblee c’è stata gente che ha detto che c’era la necessità di creare un partito, un’organizzazione politica indipendentista che si ponga su posizioni più di classe rispetto all’attuale sinistra abertzale e che non si occupi solo della questione dei prigionieri politici, insomma più vicina a quella che era la sinistra abertzale storica.
Chiaramente questa è la posizione di alcuni, ma noi rimaniamo fermi ad occuparci solo della situazione dei prigionieri politici, dei loro diritti, quindi manteniamo un’attività prettamente settoriale concentrata su quello.
Noi non siamo una formazione politica che è in competizione con SORTU (partito della sinistra abertzale basca) o con altre, ma ci muoviamo solo sul terreno delle carceri perché crediamo che su questo ci sia un vuoto.
Ovviamente a volte siamo intervenuti anche nel dibattito politico generale come nel caso del documento prodotto dalla sinistra abertzale basca ufficiale, come quando EH BILDU (Euskal Herria Unita – coalizione politica basca) produsse “ via basca per la pace” dove si parlava dei prigionieri politici, della soluzione del conflitto e delle cause tecniche di esso.
Tu sei un ex prigioniero politico basco ?
No, sono un militante del movimento. Ho avuto comunque parecchi processi giudiziari.
Aldilà dei processi politici che sono attualmente in atto e che mettono da parte in un certo senso, rispetto a ciò che dicevi, la questione dell’amnistia, è secondo me impossibile parlare di un processo che parli di indipendenza per l’Euskal Herria dimenticando o non curando la questione. Credo che questo crei delle frizioni all’interno del movimento indipendentista, proprio perchè sono tanti i prigionieri politici e quindi la cosa crea interesse nella popolazione. Che ne pensi ?
Si, sono d’accordo. Con la politica sui prigionieri politici che fa la sinistra abertzale ufficiale sarà un problema, perché molti prigionieri politici rimarranno in carcere a causa di questa strategia a nostro parere sbagliata.
Vi faccio un esempio: tra il 2008 ed il 2011 tanti sono stati incarcerati per attività armata ed hanno subito condanne a 40 o 50 anni di carcere; ebbene secondo quel documento prodotto da EH BILDU queste persone non rientrano nel processo di risoluzione del tema dei prigionieri.
La gente che accetta di uscire dal carcere firmando quella carta, non fa altro in pratica che chiedere perdono allo stato spagnolo affermando che ciò per cui è stato condannato è stato in effetti un errore, uno sbaglio; noi ci chiediamo, una volta usciti dal carcere, per questi militanti, dov’è più l’onore di essere un prigioniero politico per la causa basca? Dov’è la dignità di essere un militante che ha lottato e ha combattuto (e combatte) per l’Euskal Herria?
Questo è un problema!
Mi sembra di capire che con la sinistra abertzale ufficiale ci sono delle frizioni; ti chiedo quindi la tua opinione: a che punto è, quale è la situazione oggi del movimento indipendentista basco? Come è cambiato dal 2011 e che prospettive ci vedi?
L’anno prima che ETA lasciasse le armi, ebbe avvio il processo Zutik Euskal Herria del 2010; nel dibattito interno si discuteva su due documenti diversi, ma all’epoca la dirigenza della sinistra abertzale occultò la seconda posizione, per poi, dopo qualche tempo, ammetterne l’esistenza, dicendo che era una posizione marginale, e non fu mai divulgata.
Ecco, in quel momento io ho sentito di non sentirmi più rappresentato da quella sinistra abertzale.
Io ho un opinione personale della lotta armata; ma non la dico.
Rispetto la decisione di ETA, potrebbe essere buona decisione ad un certo punto per la lotta di un popolo fare un passo indietro per poi rilanciare, quindi non è una critica sulla questione lotta armata si o lotta armata no. Ma nel documento Zutik Euskal Herria era posto chiaro il concetto per cui chi è a favore della violenza politica, in generale, non solo della lotta armata, proprio nel senso ampio del concetto, è fuori.
Per cui non sono d’accordo in questo senso, non si può lasciare un popolo senza un sostegno che può essere utile ora e\o in futuro; io non mi identifico con la linea strategica della sinistra abertzale ufficiale di oggi: la lotta di classe, la coscienza di classe, l’identità di classe, la lotta per il socialismo la hanno lasciata al terzo piano. Mi sembra di vedere un partito socialdemocratico riformista. Non sono l’unico che non si identifica in questo, quindi credo che sia il momento per organizzare un movimento popolare ampio con gente rivoluzionaria, che si ponga a sinistra della sinistra abertzale. Alla fine si tratta in fin dei conti di ricostruire quella sinistra abertzale classica che era ampia, plurale, chiaramente dentro dei confini ideologici che collegavano la lotta per l’indipendentismo alla lotta per il socialismo. In fondo quello che già esisteva in Euskal Herria.
Mi hanno pure chiesto se volessi partecipare al dibattito sul documento Abian; non ho accettato, non perché io abbia problemi a parlare con qualcuno in particolare, ma secondo me quel documento è un profondo cambio di facciata. Quel sentimento profondo, radicale, rivoluzionario io non lo colgo più.
Quindi tu non pensi che questo processo di “pulitura della facciata” possa essere una mossa strumentale per arrivare più facilmente alla massa della popolazione basca e quindi all’obiettivo dell’indipendenza? Potrebbe essere una strategia per facilitare quel processo inaugurato con Zutik Euskal Herria sino ad oggi?
La tua riflessione è quella che fa la sinistra abertzale ufficiale: cambiamo passo, accumuliamo forze. D’altronde non si può negare il fatto che fosse vero che la lotta armata a volte allontanava gente che magari si riconosceva anche come ideologicamente vicina; così come non si può negare che all’inizio di questo nuovo processo di svolta della sinistra abertzale c’è stata una crescita di aggregazione e degli ottimi risultati elettorali; di contro però il movimento popolare è stato neutralizzato dalla posizione e dalla progettualità della sinistra abertzale ufficiale, per cui al momento non è in grado di esprimere la forza che in passato aveva.
Io sono convinto che il proposito sia sincero e che abbia l’orizzonte dell’indipendentismo, e penso sia anche la strada più facile per arrivarci, ma se parliamo di socialismo, beh, siamo ben lontani.
E’ possibile che questo cambiamento della sinistra abertzale, che tu sostieni essere la causa dell’arretramento del movimento popolare, sia dovuto al fatto di concentrarsi esclusivamente su un livello istituzionale ?
Si, ma no.
Io credo che questa sia stata una pianificazione fatta da SORTU, che ha un senso, il senso ovvero di diventare SORTU un partito dirigente che controlla tutto, il movimento e tutta la sinistra abertzale.
Questa idea non mi dispiacerebbe se SORTU si ponesse su un piano rivoluzionario. Ma non è così.
Un’altra ragione per cui lo hanno fatto, secondo me è stato per allontanare da SORTU tutti quei militanti che hanno una storia politica di lotte di un certo tipo, che hanno un punto di vista rivoluzionario. Quindi secondo me è stato tutto pianificato.
Fino al 2011 c’è stato uno scontro durissimo con lo stato spagnolo sulla questione dell’indipendenza; dopo si è presa un’altra strada applicando un’altra tattica, come ci stai spiegando tu adesso.
Intanto però sono gli anni più veloci in cui l’Europa costruisce questi organismi sovranazionali, l’identità europea del blocco occidentale.
Aldilà delle questioni interne, come militante indipendentista basco, come credi possa avanzare il progetto di indipendenza di uno stato come Euskal Herria, dalla Spagna e dalla Francia, che rientrano appieno in questo progetto europeo che tenta di rivalutare e sovradeterminare il concetto di sovranità?
Propio in questo contesto che vede la Spagna insieme a tutta l’Europa costruire l’identità sovranazionale, con questo potere che sempre di più viene consegnato nelle mani delle imprese e delle multinazionali, proprio per questo è sempre più necessario creare uno stato nostro, socialista: diventa ancora di più una questione di sopravvivenza per la classe operaia di Euskal Herria. Adesso più che mai è vitale. Questa è la mia opinione personale. Il nostro movimento è un movimento settoriale che come vi ho detto lavora sui prigionieri politici, ma abbiamo comunque una nostra opinione che è quella di una creazione dello stato di Euskal Herria, socialista, anticapitalista.
In Euskal Herria c’è un livello alto di lotta e di repressione; avete o cercate delle connessioni con altre organizzazioni che ci sono in giro per il mondo che si occupano di prigionieri politici che lottano per l’indipendenza del proprio popolo, per il socialismo, per la propria autodeterminazione? E questo secondo voi è necessario per non correre il rischio di trovarsi schiacciati ed isolati?
Il nostro è un movimento giovane che è nato poco tempo fa, di pochi anni; ci sono tante cose che ancora non abbiamo affrontato, fra poco faremo un’assemblea nazionale, e può essere che là questa questione sarà discussa.
Comunque abbiamo avuto contatti con gente dell’Irlanda del Nord, di Rescal della Catalogna, anche con gente del Soccorso Rosso Internazionale, con il Graco spagnolo (Gruppo di Resistenza Antifascista Primo Ottobre – Formazione armata spagnola), ma solo contatti. Nonostante la giovane età del movimento abbiamo avuto già tantissimi problemi con la repressione, con decine di perquisizioni e arresti.
Nel quotidiano di cosa vi occupate, oltre che del sostegno economico dei prigionieri? E quale è la situazione dei prigionieri oggi in carcere ?
Abbiamo tantissime difficoltà, anche dal punto di vista economico, soprattutto per il boicottaggio che subiamo dalla sinistra abertzale ufficiale che allontana le persone dalle nostre iniziative, per cui non riusciamo ad avere tanti introiti.
A livello di militanza di base facciamo tanto lavoro per recuperare quella rivendicazione storica che è l’amnistia e i diritti politici dei prigionieri all’interno delle carceri; stimolare il dibattito anche all’interno della sinistra abertzale ufficiale per portare di nuovo al centro della discussione la questione dell’amnistia; recuperare quel senso rivoluzionario dei prigionieri politici e non svuotare di contenuti politici e rivoluzionari la questione dei prigionieri, quindi di non trattare la cosa da un punto di vista prettamente umanitario, da vittima.
In Zutik Euskal Herria si afferma che chi ha avuto a che fare con la violenza è fuori dalla sinistra abertzale classica, quindi fuori da EPPK (Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi): oggi se qualcuno viene incarcerato per motivi legati ad episodi di violenza politica, di tutti i tipi, noi lo sosteniamo economicamente, politicamente e giuridicamente. La mia organizzazione non è nata per dare sostegno economico e giuridico, ma siamo in un certo senso costretti a farlo, perché ci sono prigionieri che non si riconoscono in EPPK e quindi interveniamo noi.
Quindi EPPK sta dentro il ragionamento della sinistra abertzale classica?
È un po’ complesso.
Innanzitutto bisogna considerare che le notizie che arrivano in carcere sono filtrate, parziali, tendenziose; proprio per questo noi abbiamo provato a fare arrivare in carcere tutti i documenti in dibattito, e per questo gli “ufficialisti” ci hanno attaccato accusandoci di voler creare spaccature all’interno di EPPK, ma questo non è vero, noi vogliamo solo rendere partecipi del dibattito i prigionieri politici.
Va detto che in carcere sono tanti quelli che si riconoscono nella sinistra abertzale e non in noi, ma come molti altri non si riconoscono più nella sinistra abertzale e scelgono noi dall’interno.
Noi comunque rivendichiamo l’amnistia e il riconoscimento dei diritti dei prigionieri politici baschi, qualunque sia il loro schieramento all’ interno della sinistra abertzale.
Secondo te potrebbe essere oggi un’opzione valida la nascita di un partito in opposizione a SORTU?
La mia opinione personale non conta. Staremo a vedere cosa succederà dentro SORTU. Se SORTU non tornerà ad essere un partito rivoluzionario, è molto probabile che si sviluppi qualcosa fuori da SORTU.
Voi dite che il movimento popolare sta attraversando una crisi, però la storia dell’indipendentismo in questa terra ha radici lontanissime. Secondo te questa specificità in Euskal Herria a cosa è dovuta? L’identità basca da cosa è costituita? Di cosa si alimenta? Il sentimento popolare di indipendentismo, a prescindere dall’intervento del movimento, a cosa è dovuto?
L’indipendentismo o il protoindipendentismo (o protonazionalismo), che all’inizio era rappresentato dal PNV e da Sabino Arana, è stato un indipendentismo razzista, che metteva al centro la razza basca, un movimento cattolico, quindi parliamo di un indipendentismo di destra.
Quell’indipendentismo è stato superato quando è cominciato il collegamento con la lotta operaia, con la coscienza di classe, e questo è avvenuto ancor prima che nascesse la sinistra abertzale; è stato in quel momento che si è diffusa l’idea per cui si subiva sì di certo l’oppressione dagli stati spagnolo e francese, ma che il vero oppressore era ed è il capitalismo.
Nasce quindi la relazione dialettica tra la rivendicazione nazionale e quella sociale, che ha permesso la maturazione dell’idea per cui, attraverso la lotta di classe, coniugata alla lotta per l’indipendenza, si potesse realizzare una società non più governata dall’élite capitalista.
Il motore di questo pensiero, che ha permesso la diffusione della lotta indipendentista, è stata la classe operaia, la quale ha saputo trasformare una rivendicazione che era prettamente legata a fattori folkloristici e alla lingua, in una rivendicazione che mettesse al centro le condizioni e i bisogni oggettivi di chi vive in Euskal Herria.
L’arrivo di tanti operai negli anni ’50 e ’60 dalla Galizia, dalla Castiglia e dalle altre regioni dello stato spagnolo ha contribuito a creare questo; il 28% della gente che vive in Euskal Herria non è di origine basca: dico questo per sottolineare ancora una volta che la lotta per l’indipendentismo è la lotta per il socialismo.
Queste sono due cose inscindibili, la lotta del nostro popolo non riguarda solo la lingua, ma il bisogno di un mondo libero dal capitalismo per chiunque viva in Euskal Herria.
L’unione delle due rivendicazioni è stata la ricetta che ha permesso un così forte radicamento ed una grande diffusione del movimento che lotta per l’indipendenza di Euskal Herria.
Parto da lontano, da molto lontano, dalla Sicilia. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 in Sicilia si sviluppa un sentimento indipendentista, una storia segnata da tante lotte, represse nel sangue. Quindi si verificano tante rivolte di cui spesso i protagonisti sono operai, contadini, fette di proletariato che rivendicava condizioni migliori e che individuavano in chi regnava o governava la Sicilia l’obiettivo da sconfiggere, il colonizzatore che li sfruttava. Più volte si è ripresentata questa situazione, fino al 1950 circa, periodo in cui il MIS era all’apice del consenso ed erano attive anche delle formazioni armate. La repressione e l’azione dei partiti italianisti distrusse tutto questo, poco o niente è rimasto se non una presenza residuale, ininfluente. Nel frattempo la Sicilia è stata teatro sempre di più di sfruttamento e devastazione del territorio, vedi la costruzione del MUOS, dei petrolchimici, basi militari, progetti per la costruzione di inceneritori. Questo ha fatto sì che tante battaglie nascessero, con una connotazione prettamente di lotte popolari. Un altro importante dato è l’alta percentuale di astensionismo alle elezioni. Secondo te, partendo da queste premesse, è possibile riprendere quel discorso di sentimento indipendentista interrotto, e quale potrebbe essere la chiave di volta per far si che si diffonda e che la lotta rinasca?
Io non conosco benissimo la storia siciliana e la realtà politica della Sicilia.
Detto questo mi sembra di cogliere dei parallelismi con la storia della Catalogna, dove nei primi anni novanta cessò la lotta per l’indipendentismo e anche l’attività delle formazioni armate a causa di una feroce repressione. Da quel momento l’indipendentismo in Catalogna non ebbe più né forza né numeri.
Laddove rimase qualcosa, era nelle mani della destra catalana che aveva posizioni più regionaliste, autonomiste. Con gli anni però, quando si è sviluppato nuovamente un movimento popolare e di classe, chiaramente anticapitalista e di chiara matrice indipendentista, c’è stata una svolta con la creazione della CUP, trascinando anche i partiti catalani moderati verso una posizione netta, e quindi di fatto riuscendo ad egemonizzare tutto il movimento indipendentista catalano.
Io credo che la chiave, il possibile detonatore per la Sicilia potrebbe essere, per quanto sia un percorso lungo, lunghissimo, avere delle posizioni di classe chiare, battendo forte sulla questione che vivete un’occupazione sotto tutti i punti di vista che peggiora le condizioni del popolo; facendo però attenzione a specificare che il nemico non è il popolo italiano, la lingua italiana o gli immigrati che vivono in Sicilia: bisogna sì difendere la propria lingua, la propria cultura, le proprie tradizioni, ma la cosa più importante da fare è riuscire a far passare il pensiero che la liberazione dall’Italia è anche la liberazione dal capitalismo, che è il vero oppressore, e quindi conquistando l’indipendenza e riuscendo ad autogovernarsi è più facile avere delle condizioni migliori per tutti.
Dare l’esempio, essere in prima linea nella lotta per l’indipendenza, può attrarre ed avvicinare molta gente alla causa, anche quella più moderata e che sembra più lontana. E’ un pericolo, un grave errore lasciare il movimento per l’indipendenza soltanto legato alle questioni linguistiche, alla cultura, alle tradizioni. La partita si gioca e si vince sui bisogni. Viceversa, si spalanca la porta ad un intervento della destra che poi alla fine, essendo la stampella dei poteri forti, baratterà le rivendicazioni d’indipendenza in questioni di decentramento o questioni autonomistiche bruciando anni di lavoro.
Bilbao, Febbraio 2016