Perché è importante fare tamponi in Sicilia (2)
La redazione di Antudo.info ha prodotto, per tutti i siciliani e le siciliane attualmente alle prese con la diffusione dell’epidemia da Covid-19, uno studio volto – attraverso una approfondita raccolta di dati e una successiva analisi – a dimostrare perché è importante fare tamponi. Per agevolare la lettura abbiamo suddiviso lo studio in tre parti. Oggi pubblichiamo la seconda parte, in cui approfondiamo la procedura con cui viene effettuato un tampone e spieghiamo le difficoltà che si stanno riscontrando e gli errori commessi in Sicilia.
In cosa consiste il tampone rinofaringeo?
Ad oggi l’unico test riconosciuto come attendibile per determinare se un soggetto sia positivo o meno al COVID-19 è quello basato sull’analisi del tampone rinofaringeo. Nonostante siano al vaglio nuove ricerche su metodi di diagnosi più rapidi ed efficienti, al momento questi non risultano completamente affidabili e validati scientificamente. Per questo motivo, nella speranza che la ricerca scientifica faccia progressi in tale direzione, ci soffermeremo ad analizzare come funziona il tampone rinofaringeo.
Francesco Vitale, professore di Igiene e Medicina preventiva presso l’Università degli Studi di Palermo, spiega nel dettaglio la procedura del test: «Il tampone raccoglie materiale dalle fosse nasali e dall’orofaringe che viene esaminato in laboratorio per la ricerca della presenza di vari microrganismi, tra cui i virus. Il processo si articola in una serie di azioni che, per ogni campione, vengono sviluppate in un arco temporale di circa quattro ore. Nello specifico, dalla fase di accettazione a quella di inattivazione dell’eventuale virus presente, con un tampone di lisi, occorrono circa 30-40 minuti. Successivamente il processo prevede la fase di estrazione, della durata di circa 70 minuti, che contempla l’utilizzo di vari reagenti chimici che provvedono all’estrazione degli acidi nucleici virali. Segue poi l’ulteriore procedimento di assemblaggio in una piastra (da circa 30 campioni in doppio) in cui vari reagenti mescolati producono una reazione di retrotrascrizione. Tale fase si sviluppa in circa 60 minuti. Nell’ultima fase, cioè l’amplificazione, viene creata in laboratorio una reazione polimerasica a catena che evidenzia e amplifica l’eventuale presenza del virus rendendolo visibile: servono circa 90 minuti. A questa tempistica si aggiunge, ovviamente, l’ulteriore verifica dell’attendibilità dei risultati ottenuti durante l’analisi in laboratorio».
Quali sono le reali difficoltà in Sicilia?
Iniziamo la nostra analisi partendo da un punto di vista economico. Il costo per il materiale di un singolo tampone faringeo si aggira attorno a 1 euro, mentre tutta la procedura in laboratorio arriva a 15 euro. Ipotizziamo, viste le ridotte relazioni sociali dettate dalla quarantena, di testare 20 contatti per ogni caso accertato. Consideriamo inoltre che il numero di infetti attivi sia di 1330 unità. Occorrerebbe, dunque, effettuare 26.000 test, con una media di 2.500 nuovi test al giorno (dato ricavato in base alla media di persone positive dell’ultima settimana). In termini economici, si tratterebbe di reperire 400mila euro, che è sicuramente una cifra irrisoria rispetto alle cifre stanziate a livello nazionale per far fronte alla crisi.
Il problema che sta riscontrando la Regione nell’effettuare i tamponi non è tanto legata allo scarso numero di kit contenenti il tampone stesso. Le problematicità principali in Sicilia sono due:
- Lo scarso numero di laboratori che sono abilitati ad eseguire il test;
- il reperimento dei reagenti chimici necessari ad analizzare il tampone.
Il numero di laboratori attivi.
Dai dati reperiti, fino a pochi giorni fa, in Sicilia i laboratori abilitati a effettuare le analisi dei tamponi erano solo 12. A partire dal 20 marzo si è cercato di potenziare il numero di laboratori, autorizzandone (il 27 marzo) altri 8, dotandoli della strumentazione adeguata e del personale competente. Come potevamo aspettarci, e come è possibile notare dal grafico in basso, l’aumento del numero dei laboratori ha effettivamente portato a un progressivo innalzamento giornaliero del numero di tamponi.
Da alcune fonti, facilmente consultabili in diverse testate locali, l’Ospedale Cannizzaro e San Marco di Catania non hanno iniziato l’esamina dei tamponi, nonostante i loro laboratori siano stati abilitati a tale funzione.
La mancanza dei reagenti
La reazione tardiva della regione Sicilia nel prendere misure operative contro la diffusione del virus emerge anche dalla mancata fornitura di reagenti per la diagnosi del Covid-19, comunicata giorno 29 Marzo dal laboratorio centralizzato dell’azienda Policlinico di Catania. A causa dell’espansione globale del virus, gli Stati che producono i reagenti – il maggiore produttore è una multinazionale americana, la Qiagen – stanno dando priorità a soddisfare la domanda interna. Sarebbe stato necessario, evidentemente, premunirsi dei necessari kit a tempo debito.
Il laboratorio di Catania – provincia che, tra le altre cose, a oggi registra il più alto numero di infetti – ha dovuto mettere in stand-by la procedura di esamina dei tamponi prelevati. Le conseguenze sono abbastanza immediate da intendere; tra tutte, quella di non sapere – dovendo operare nel dubbio – come gestire i pazienti che sono stati segnalati e che potrebbero essere positivi e contribuire al processo di contagio.