Anna Gabriel a Palermo il 29 marzo
L’indipendentismo catalano è un fenomeno socio-politico dalle radici antiche e ben radicate. Negli ultimi anni il movimento ha assunto una dimensione di massa, investendo e invadendo sia il movimento popolare che quello istituzionale. Questa situazione è chiaramente frutto dell’evoluzione di un processo che dura da secoli, già a partire ovvero dal momento in cui la realtà sociale catalana ha tentato di definire dei confini territoriali, le contee, che delimitassero il Regno carolingio e l’espansione musulmana del IX secolo. Da quel momento in poi si è andata via via istituendo un’identità collettiva che si è man mano dotata di una lingua, di un passato, di tradizioni e di un popolo con una forte rivendicazione: l’indipendenza dello stato catalano. Dal 1600 in poi sino ad oggi i rapporti tra la Generalitat catalana e la monarchia spagnola sono sempre stati caratterizzati dall’alternarsi di scontri, tensione, processi di pacificazione, repressione, rappresaglie e rivolte. I primi provvedimenti di Francisco Franco una volta entrato a Barcellona furono infatti proprio l’abolizione dell’autonomia catalana e la proibizione della lingua catalana. Il regime nel corso degli anni, così come avvenne anche per il popolo basco, non fece altro che rafforzare il sentimento catalano in ogni strato della popolazione.
Attestatosi però a lungo semplicemente su istanze autonomistiche e di recupero della Generalitat, negli ultimi anni il movimento indipendentista catalano è rinato: sembra che il tempo della negoziazione con la Spagna sia giunto al suo termine.
Il 29 Settembre del 2014 il tribunale costituzionale spagnolo aveva rigettato all’unanimità la legge catalana sull’organizzazione delle consultazioni per il referendum. Dinanzi a questa interdizione, il presidente della Generalitat Artur Mas ritirò ufficialmente il suo progetto a causa della mancanza di mezzi legali per discutere la presunta illegalità sostenuta dallo stato spagnolo; mantenne però per la data prevista, ovvero il 9 Novembre di quell’anno, la consultazione parallela per l’indipendenza, organizzata non più dalle istituzioni ufficiali catalane, ma da partiti politici e movimenti sociali. La tensione fomentata da Madrid che annunciava la presenza della Guardia Civil in piazza contro le forze secessioniste antidemocratiche, e l’affermazione per cui anche la consultazione rappresenterebbe di per sé un atto di disobbedienza civile, non fece altro che far aumentare la partecipazione: 2,3 milioni persone si presentarono alle urne, di cui l’80% votò per il sì al quesito “Vuoi che la Catalogna divenga uno stato? Se si, vuoi che questo sia uno stato indipendente?”. Mariano Rajoy tentò di sminuire il dato affermando che una simile “consultazione delle opinioni” non avrebbe cambiato nulla poiché la costituzione della ‘Spagna democratica’, scritta alla fine del franchismo, ha sancito che la Spagna è una e indivisibile, e che le forze armate sono responsabili della sicurezza dell’unità territoriale.
Artur Mas e altri hanno poi ricevuto una denuncia per disobbedienza civile; il processo è iniziato proprio qualche settimana fa. Lui non è più il Presidente della Generalitat ma lo è Carles Puigdemont.
Molteplici sono le ragioni che hanno condotto i più di due milioni di catalani a votare per la consultazione per l’indipendenza: cittadini catalani sensibili all’ostilità culturale e linguistica condotta dallo stato spagnolo; cittadini non garantiti che nello sfruttamento economico sostenuto e perenne hanno trovato una ragione in più per votare per l’indipendenza; operai e lavoratori coscienti dei meccanismi di ricatto economico-politico a cui lo stato spagnolo li sottopone e si rendono conto che con una Catalogna indipendente un altro sistema sarebbe possibile.
Il movimento indipendentista catalano si trova adesso in un momento cardine della sua storia. Alle elezioni del 2015 il 48% dei voti è andato alle formazioni indipendentiste e un altro 8% a chi proponeva il diritto all’autodeterminazione dei territori: le elezioni sono state vinte dalla coalizione Junts pel Sì (uniti per il sì), formata da Convergencia Democratica de Catalunya e Esquerra Republicana de Catalunya e dal grande successo dei seggi vinti dal partito della CUP (Candidatura d’Unitat Popular). A partire da questo dato, le forze politiche indipendentiste catalane hanno deciso di dar avvio ad un processo che miri ad ottenere davvero l’indipendenza della Catalogna. Obiettivo a cui si mira tramite l’annuncio di un nuovo referendum da tenersi entro il settembre 2017, che non sia questa volta una consultazione e che sarà nuovamente considerato dallo stato spagnolo un atto di disobbedienza civile.
Le forze politiche che si impegnano a praticare questo obiettivo hanno chiaramente posizionamenti diversi tra loro, il che si è palesato anche nella recente approvazione dei bilanci economici in Junts pel Sì, coalizione indipendentista di centro-destra e centro-sinistra alla presidenza del parlamento catalano, che ha dimenticato al momento le politiche sociali promesse ai catalani e per le quali la CUP spinge particolarmente.
La CUP rappresenta in questo contesto la formazione indipendentista che, attraverso le assemblee che si svolgono in circa 70 municipi catalani e le manifestazioni oceaniche organizzate ogni anno, lotta per l’autodeterminazione del territorio all’interno e al di fuori delle istituzioni con formazioni politiche come Arran, Endavant o il sindacato studentesco SEPC.
Dopo una lunga situazione di crisi dei soggetti politici in campo per lo più autonomisti, è con la CUP che rinasce un forte movimento indipendentista catalano di sinistra. Questa diventa infatti presto una forza radicale anticapitalista e indipendentista che rivendica i paesi catalani nella loro interezza (Isole, Valencia, Catalogna nello stato spagnolo e Catalogna nello stato francese) e soprattutto un cambiamento delle condizioni di vita per chi questi territori li vive.
Anna Gabriel è dal 2015 deputata al Parlamento della Catalogna per la CUP; è inoltre una militante del movimento indipendentista marxista Endavant, perseguendo dunque la lotta indipendentista nelle sue molteplici sfaccettature.
Ad una intervista rilasciata a «il manifesto» nel 2015 affermò:
“Proponiamo invece la creazione di un modello alternativo al capitalismo, che metta la vita al centro degli interessi. Quando riscattiamo le banche e non pensiamo alle persone, quando devastiamo il territorio ci stiamo comportando in modo selvaggio. Per vivere bene tutti, qualcuno deve perdere qualche privilegio. Proponiamo un paese che sia esempio nella difesa dei diritti umani, sociali e democratici. Un paese che si relazioni con il sud del mediterraneo, affinché lo stretto di Gibilterra non sia mai più quella vergognosa fossa comune che è attualmente. Un paese che consideri l’agenda femminista come qualcosa di strategico e basico, se si vuole rendere possibile un altro sistema di relazioni economiche, produttive e sociali”.
E ancora:
“Non cerchiamo alleanze solo tra i partiti. Sono alleati i movimenti, chi lotta ogni giorno nelle fabbriche, nelle università, chiunque capisca che la politica è questione di ogni giorno. Proviamo a trasmettere il bagaglio della lotta popolare, e a far sì che il nostro programma difenda gli interessi della maggioranza, dei lavoratori e delle lavoratrici”.
Torna alla ribalta ancora una volta la centralità dei territori e i loro processi di decisionalità. E’ evidente che la CUP si fa voce del malessere generale del popolo catalano, il quale non sembra avere più intenzione di rinunciare alla propria possibilità di autodeterminazione; alla possibilità che a decidere questioni di ordine sanitario, economico, sindacale, linguistico dell’istruzione e delle infrastrutture della Catalogna sia la Catalogna. Non ha più intenzione di continuare con il processo per cui tutte le decisioni che riguardano il proprio territorio e la gente che lo vive vengano prese dallo stato spagnolo, demandando l’organizzazione economica, politica e sociale a chi quel territorio non soltanto non lo vive, ma mira inoltre a sfruttarlo, opprimerlo e affamarlo. Oggi più che mai i progetti e gli interessi dello stato spagnolo non coincidono con quelli della Catalogna: la necessità di uno stato indipendente che si pone come obiettivo la costruzione di uno stato anticapitalista, un’alternativa allo stato di cose presenti risulta quantomai necessario.
Autodeterminazione ed autogoverno sono possibili solo con la costruzione dell’indipendenza politica.