Polifemo, tra miti e leggende
Prosegue la nostra raccolta di leggende sui Giganti di Sicilia. Questa domenica parliamo del famigerato Polifemo, indiscusso pilastro del poema omerico l’Odissea e protagonista, nella tradizione mitologica, di eventi che hanno portato alla trasformazione del paesaggio siciliano.
Polifemo, il più temibile tra i Ciclopi
Polifemo (dal greco antico Polýphemos, che significa “loquace, che parla molto”) è il nome di un personaggio della mitologia greca. Un ciclope, creatura mostruosa e gigantesca, dotato solamente di un occhio. Era figlio di Toosa, ninfa marina, e di Poseidone. La mitologia classica definisce Ciclopi sia i figli di Urano e di Gaia, sia gli appartenenti a un’antichissima popolazione. Il popolo dei Ciclopi è ricordato anche dallo storico Tucidide. Omero li descrive come un popolo di Giganti antropofagi, forti e dediti alla pastorizia, caratterizzati da enormi dimensioni e dal possesso di un unico occhio in mezzo alla fronte.
La figura di Polifemo è parecchio ricorrente nella mitologia greca. Il ciclope è però ricordato soprattutto per il suo ruolo all’interno del poema omerico l’Odissea. Omero narra che Ulisse, tra le varie peripezie del suo nostos, il viaggio di ritorno a Itaca da Troia, sbarcò nella terra dei Ciclopi (ossia la Sicilia orientale).
Ulisse era un uomo estremamente curioso; decise, così, di visitare la caverna di Polifemo, ignaro della presenza della creatura mostruosa che l’abitava. Durante la visita nella caverna, in cerca di cibo e viveri, i compagni di Ulisse vennero catturati dal ciclope. Alcuni vennero addirittura divorati vivi.
Ulisse, mettendo alla prova il suo ingegno e la sua astuzia, escogitò un piano per fuggire. Fece addormentare Polifemo, facendolo ubriacare con un ottimo vino, e, nel frattempo, fece bruciare la punta di un grande tronco di ulivo. Con essa, Ulisse e i compagni, accecarono l’unico occhio del Ciclope.
Polifemo dilaniato dal dolore si svegliò, cercando l’aiuto dei suoi fratelli. Ma Ulisse – che prima di addormentarlo si era presentato come Nessuno – era già pronto alla fuga. Quando i fratelli chiesero al ciclope cosa fosse successo egli urlava che Nessuno lo aveva accecato, ottenendo solo risa e scherno.
«Perché, Polifemo, con tanto strazio hai gridato
nella notte ambrosia, e ci hai fatto svegliare?
forse qualche mortale ti ruba, tuo malgrado, le pecore?
o t’ammazza qualcuno con la forza o d’inganno?»
E a loro dall’antro rispose Polifemo gagliardo:
«Nessuno, amici, m’uccide d’inganno e non con la forza.
E quelli in risposta parole fugaci dicevano:
«Se dunque nessuno ti fa violenza e sei solo,
dal male che manda il gran Zeus non c’è scampo;
piuttosto prega il padre tuo, Poseidone sovrano».
La nascita dei Faraglioni di Acitrezza
Al mattino seguente, attaccati sotto i ventri delle pecore del Ciclope, i fuggitivi scapparono quando Polifemo face uscire il gregge al pascolo. Accortosi dell’avvenuta fuga, Polifemo, infuocato di rabbia, cominciò a scagliare con forza dei massi in mare, tentando di affondare la nave dei viaggiatori.Il ciclope li maledisse gettandogli addosso otto massi, ma non riuscì a prenderli. Questi otto massi sarebbero proprio i meravigliosi faraglioni di Acitrezza.
Polifemo e Galatea, origine del fiume Aci
Esiste un’altra leggenda che ha come protagonista l’ira di Polifemo e che racconta l’origine del fiume Aci, che scorre ai piedi dell’Etna. Il corso d’acqua presta il nome a diversi paesini della provincia catanese, Aci Trezza, Aci castello, Acireale, Aci Catena e così via. Questa leggenda racconta una delle storie d’amore più emozionanti della mitologia greca. È narrata nel libro XIII delle Metamorfosi di Ovidio.
Polifemo è perdutamente innamorato della giovane Galatea. La bellissima ninfa, una Nereide,era una delle cinquanta figlie delle divinità marine Doride e Nereo; una ninfa del mare.
Aci era un pastorello, figlio di Faunoche pascolava le sue pecore vicino al mare. Un giorno vide Galatea e se ne innamorò perdutamente; l’amore fu subito ricambiato dalla ninfa.
Aci e Galatea erano innamoratissimi e Polifemo – anch’esso innamorato della bella Galatea – si accorse ben presto di non essere nemmeno guardato da lei.
Una sera, il ciclope vide i due innamorati in riva al mare baciarsi. Accecato dalla gelosia decise di vendicarsi.
Non appena Galatea si tuffò tornando in mare, Polifemo prese un grosso masso di lava e lo scagliò contro il povero Aci, schiacciandolo. Non appena Galatea seppe della terribile notizia, accorse subito e pianse tutte le sue lacrime sopra il corpo martoriato di Aci. Giove e gli dei ebbero pietà e trasformarono il sangue del pastorello in un piccolo fiume che nasce dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia in cui i due amanti erano soliti incontrarsi.
È così che sarebbe nato il fiume Aci.