Valle del Belice: un laboratorio di lotta e partecipazione – Parte 2
Continua con questa seconda parte il percorso iniziato nel primo articolo della settimana scorsa sulla Valle del Belìce come laboratorio di pratiche di lotta e partecipazione sociale.
Un percorso geograficamente partito da Trappeto e Partinico, iniziato come abbiamo visto nei primi anni ‘50 con Danilo Dolci, per poi man mano svilupparsi nel corso dei decenni successivi ed evolversi con nuove caratteristiche e personaggi verso le valli interne della Sicilia Occidentale, fino a stabilizzarsi nella Valle del Belìce, soprattutto dopo il sisma del 1968, come epicentro di fermenti sociali e civili.
La “piena occupazione” contro l’emigrazione e le rivendicazioni per l’acqua nelle valli del Belìce, del Carboj e dello Jato
Sin dall’inizio, il lavoro d’inchiesta e ricerca sociale di Dolci e del centro studi – già portato avanti nel corso degli anni Cinquanta e reso pubblico attraverso le due grandi inchieste Banditi a Partinico e Inchiesta a Palermo – è stato affiancato da un’attività pubblica costante, finalizzata all’individuazione di precise strategie di trasformazione radicale delle condizioni esistenti. A partire dal 1957 avviene un cambio di approccio, che da una fase di studio e individuazione delle cause, passa a una più precisa ricerca e attuazione delle soluzioni alle problematiche dei territori.
L’esito di questo cambiamento fu il convegno Iniziative locali e nazionali per la piena occupazione organizzato a Palermo nel novembre del 1957. Al convegno aderirono diverse personalità del mondo culturale e scientifico come l’architetto Bruno, i giovani ricercatori della rivista «Il Mulino», l’economista Federico Caffè, il sociologo Paolo Sylos Labini, il sindacalista Bruno Trentin, lo scrittore Carlo Levi, Giorgio Napolitano, Vittorio Foa. Un’intera corrente culturale e politica italiana, trasversale rispetto agli schieramenti politici e alle specifiche appartenenze professionali, si riunì in occasione di questo convegno su un tema assolutamente cruciale per le prospettive di sviluppo e di equità dell’Italia del tempo: realizzare la promessa di una cittadinanza fondata sul lavoro come sancito dalla Costituzione, e superare gli squilibri del paese attraverso razionali politiche di guida e orientamento dello sviluppo economico.
Nel convegno emerse, al fianco del boom economico di una parte dello Stato, il fallimento delle politiche di intervento e pianificazione economica del Mezzogiorno e della Sicilia.
Il dibattito si concentrò sull’opportunità di pensare e attuare una pianificazione “democratica”, ovvero capace di integrare all’interno di una dialettica virtuosa “alto” e “basso”, centro e periferia, istituzioni e comunità locali. Questa tematica generale fu declinata sul territorio del gruppo di Danilo Dolci, nello specifico sulla valle dello Jato, con un sistema di indagine innovativo che portò all’individuazione di un insieme di trasformazioni culturali, dighe, infrastrutture viarie e agricole che avrebbero consentito di avviare un processo di sviluppo economico per tutta la regione.
Nel 1958, Danilo Dolci venne insignito del Premio Lenin per la pace, e grazie ai soldi del premio, alquanto consistente per l’epoca, si costituì ufficialmente il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione, che permise l’organizzazione capillare ed efficace sul territorio. Nascono centri di zona per la piena occupazione che interessano l’entroterra della Sicilia Nord-Occidentale. Il più importante riflesso di questa nuova articolazione territoriale fu l’estensione del raggio d’azione della ricerca e delle iniziative. Nel 1960, l’estensione dell’iniziativa del Centro Studi coinvolge anche la Sicilia Sud-Occidentale, in particolare le zone della Valle del Belìce e della Valle del Carboj.
Il metodo seguito era duplice: da una parte le discussioni con la popolazione del posto sulle proprie condizioni culturali e materiali e sulle possibilità di cambiamento, dall’altra parte l’esame tecnico-scientifico di questi stessi temi con la collaborazione di una serie di esperti della materia. L’esame di una serie di problematiche legate alla tematica dello “spreco”, quali gli omicidi di mafia, la distribuzione della proprietà agraria e i mancati effetti della riforma agraria, la mancanza di opere di sbarramento dei corsi d’acqua e di canalizzazione, corrispondeva all’individuazione degli interventi necessari sul territorio. Affinché la “pianificazione democratica” riuscisse a imporsi, «occorre partire da un giro sotto: occorre promuovere chiarezza, presa di coscienza alla base».
L’acqua e il suo utilizzo ebbe un’importanza assolutamente decisiva nelle mobilitazioni portate avanti dal Centro Studi. Era considerata la risorsa fondamentale in grado di rendere possibile e sostenere l’avvio di un processo di sviluppo complessivo dell’economia agricola, favorendo la coltivazione intensiva di piante con maggiore valore commerciale, l’aumento dell’occupazione e del reddito, la frammentazione del latifondo estensivo.
Nel corso degli anni ’50 ripartirono dalla Sicilia occidentale – solamente momentaneamente interrotti durante il Ventennio e la guerra – massicci flussi migratori verso le zone industriali del Nord Italia e i paesi dell’Europa centro settentrionale, in particolare la Svizzera e la Germania. Senza la creazione di nuove fonti di occupazione a breve e a lungo termine, sarebbe stato impossibile arrestare il flusso migratorio, con il risultato di impoverire ulteriormente la zona, privandola delle sue migliori risorse umane e alimentando il circolo vizioso del sottosviluppo. Le dighe, sono considerate sia dalla popolazione sia dai tecnici del Centro Studi e Iniziative il punto di partenza per modificare la situazione.
Questa è la ragione per la quale, i territori coinvolti dall’attività del centro studi e dagli esperimenti di “pianificazione democratica” si articolano lungo i principali bacini idrografici della zona: lo Jato, il Belìce e il Carboj. All’inizio degli anni ’60, proprio la Valle del Belìce vide crescere un significativo esperimento di mobilitazione popolare attorno alla questione dell’acqua, suscitato e supportato dal lavoro svolto dalla locale sezione del Centro Studi e Iniziative, guidata dal giovane collaboratore di Dolci, Lorenzo Barbera. Nella seconda metà degli anni ’60, la valle del Belìce divenne quindi il nuovo centro della mobilitazione e dell’iniziativa politica nella Sicilia Occidentale, e come vedremo, protagonista di un inedito esperimento di attività democratica.