Mazara del Vallo, punto nascite a rischio chiusura

Mazara del Vallo, punto nascite a rischio chiusura
Carenza di organico all’Ospedale Abele Ajello di Mazara Del Vallo; la mancanza di medici, pediatri e cardiologi mette a rischio il punto nascita e il reparto di cardiologia.
 

 

Reparti a rischio chiusura

Ciclicamente, ogni anno, si ripropone il problema della carenza di organico all’Ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo. In particolare, si parla del punto nascita dell’ospedale e del reparto di cardiologia, nel quale si registra la mancanza di almeno quattro cardiologi. Ad agosto del 2019 gli stessi reparti continuarono la loro attività solamente grazie alle prestazioni libero-professionali di due pediatri di grande esperienza e alla convenzione con Villa Sofia che consentì di coprire i turni, in attesa della definizione del concorso per l’immissione in ruolo a tempo indeterminato di nove medici pediatri.
La carenza di personale è causa di grandi disagi per i cittadini di Mazara. La sospensione di questi due reparti mette in discussione la salute stessa degli abitanti e in particolare, nel caso del punto nascita, quella delle donne e delle nuove vite.

 

Il paradosso delle nascite

Secondo gli accordi approvati in Conferenza unificata il 16 dicembre 2010 per la riorganizzazione dei punti nascita e secondo il cosiddetto decreto Balduzzi (decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158), viene disposta la chiusura di tutte le strutture ospedaliere, quando queste non raggiungono il numero di cinquecento nascite all’anno. Non è il caso dell’ospedale Abele Ajello, che ha raggiunto a pieno la soglia prevista. Solo nel periodo che va da gennaio a luglio 2019 si sono registrate più di 300 nascite. Anche quest’anno il reparto di Ostetricia supererà il numero previsto dalla legge.
È evidente che i decreti-legge e gli accordi sulle Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto livello di tutela della salute, non hanno cambiato nulla, anzi hanno reso più difficile l’organizzazione delle strutture ospedaliere.

 

I casi di Pantelleria e Lampedusa

Il caso di Mazara del Vallo non è isolato. Una grande ondata di proteste cittadine – che continuano tutt’oggi – ha coinvolto, ad esempio, il territorio madonita da quando è stata disposta la chiusura del punto nascite all’Ospedale Madonna dell’Alto di Petralia Sottana.
Questo tipo di decisioni influenzano significativamente la vita dei siciliani, specialmente gli abitanti delle isole minori molto distanti dalla terra ferma, ricordiamo il caso di Pantelleria. L’isola, infatti, è più vicina alle coste tunisine (da cui è separata da 70 chilometri di mare) che a quelle sicule (distanti ben 110 chilometri). Le coste vengono collegate da un traghetto che impiega circa 6-7 ore (per avverse condizioni meteorologiche spesso il collegamento non viene effettuato) per raggiungere Trapani, dove si trova l’ospedale Sant’Antonio Abate dell’ASP. L’altra via per raggiungere l’ospedale di Trapani è quella aerea, la cui percorribilità dipende però molto dalle condizioni atmosferiche. Spesso accade che per il forte vento sulla pista dell’aeroporto di Pantelleria gli aeromobili non possano atterrare. La stessa situazione si verifica a Lampedusa dove da anni manca un reparto nascite.

La gravidanza in sicurezza sembra diventare sempre più un’opzione per poche donne. Non garantire la presenza di medici specialisti negli ospedali, chiudere interi reparti significa costringere i siciliani a sostenere lunghi viaggi rischiosi e costosi per curarsi.
Chi gestisce la sanità, pubblica o privata, è mosso evidentemente solo da interessi economici. La salute degli abitanti passa in secondo piano, soprattutto quella delle donne e dei bambini.

 
 

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