És una molt mala notícia.

És una molt mala notícia.

E così, la Corte costituzionale spagnola ha dichiarato nulla la legge sul referendum adottata il mese scorso dal parlamento catalano. Secondo la sentenza della Corte, «la ley del referéndum catalán es con toda evidencia, inconstitucional», perché contraria ai principi essenziali dell’ordinamento: la sovranità nazionale che risiede nel popolo spagnolo e l’unità della Nazione. «Ni el pueblo de Catalunya es titular de un poder soberano, exclusivo de la nación española constituida en Estado, ni puede por lo mismo ser identificado como un sujeto jurídico que entre en competencia con el titular de la soberanía nacional». Insomma, che la Catalogna appartenga allo Stato spagnolo o pensi di proclamare l’indipendenza non è una decisione che spetta ai cittadini catalani, ma a tutti i cittadini spagnoli.
Che suona soprattutto come un avvertimento preventivo a quei popoli spagnoli (i baschi, i galiziani) che da anni si battono per la conquista di maggiori autonomie o per l’indipendenza: attenti, non pensiate di fare come i catalani, e ve lo diciamo prima.
È un ragionamento grottesco, questo del Tribunale costituzionale spagnolo: se indipendenza dei catalani ha da esserci, che lo decida un referendum in tutta la Spagna, dato che solo il “popolo spagnolo” tutto ne avrebbe la titolarità. Nello stesso tempo, si dice che mai si potrebbe tenere un referendum per “separare” l’unità della nazione spagnola.
È un po’ come se oggi in Italia si dicesse ai lombardo-veneti, che tra pochi giorni terranno un referendum perché la Regione possa trattare maggiori termini di autonomia con lo Stato, che in realtà il referendum si dovrebbe tenere a Matera o Lecce o Alessandria, ma certo non a Milano o Venezia. Chi può decidere sull’autonomia dei lombardo-veneti se non noi siciliani? Ecco, chiedetelo a noi. E – orrore – sarebbe valido il viceversa: chiediamo ai bergamaschi, se Palermo dev’essere indipendente.
O, allargando il discorso, come se gli inglesi con il loro referendum su Remain or Leave avessero sbagliato tutto: era in Europa che andava tenuto il referendum, a Bratislava o a Dortmund, a Tallinn o a Lisbona; perché mai avrebbero dovuto votare gli inglesi, a Londra, Glasgow e Edimburgo, se è l’Europa tutta che solo può decidere che qualcuno se ne vada?
La realtà è che la “cancellazione costituzionale” del popolo catalano come sovrano (se chiedete più autonomia sarà lo Stato spagnolo a concedervi delle cose) è solo la foglia di fico legale della violenza istituzionale di polizia e guardia civil messa in campo durante i giorni del referendum e dei suoi strascichi di questi giorni come l’arresto dei leader di Anc e Omnium cultural, Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, responsabili della maggior parte delle mobilitazioni n Catalogna e della “tenuta” dei seggi elettorali, nonché del “sequestro” di poliziotti e guardia civil, e la “sospensione” del capo dei Mossos d’Esquadra. Che, quest’ultima, non è una cosa di facciata: d’ora in poi polizia nazionale e guardia civil potranno agire anche contro i Mossos d’Esquadra.
Domani, giovedì, scadono i termini imposti da Rajoy a Puigdemont, perché faccia marcia indietro su tutto il percorso d’indipendenza: non significa solo “smentire” la dichiarazione che annunciava i risultati del referendum dell’1 ottobre e la vittoria del SI’. L’articolo 155 consente al governo centrale di sospendere ogni assetto dell’autonomia regionale, a partire dal suo parlamento.
In pratica, la sentenza della Corte costituzionale ha già spianato la strada: il parlamento catalano è fuorilegge.
Questi sono i termini del conflitto: o il centralismo o l’autonomia, una “questione” non solo spagnola e catalana. C’è chi ha abbassato la testa (come altrimenti definire l’introduzione del pareggio di bilancio voluta da Bruxelles e Germania nella nostra Carta costituzionale? E l’avere “spezzato le reni” alla Grecia?) e chi resiste.

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