Ogni generazione d’Europa ha la sua Catalogna.
Il parlamento catalano ha dichiarato la sua indipendenza dalla Spagna e proclamato l’inizio del processo costituente che dovrà dare forma alla sua Repubblica. Quello che da questo momento accadrà non è già scritto in nessun libro di storia – ma che appartenga per intero alla storia d’Europa è assolutamente fuori dubbio: ogni coscienza europea, che abbia a cuore non solo la democrazia e i diritti sociali ma le sorti stesse dell’Europa, non può che interrogarsi e prendere partito. Perché quello che accadrà in Catalogna non riguarda solo i catalani e la Spagna ma l’Europa tutta. Ancora una volta, la Catalogna suona la campana della Storia per l’Europa.
Quale sia il “partito” dell’Europa di Bruxelles è presto detto: le dichiarazioni tedesche, francesi, italiane, nonché del presidente del consiglio europeo e di quello della commissione non lasciano alcuno spazio di interpretazione: Bruxelles ha un solo interlocutore, il governo Rajoy. Quello che ha fatto, fa e farà Rajoy è nell’interesse dell’Europa. Di quest’Europa. Le flebili e formali dichiarazioni iniziali perché fosse salvaguardato il dialogo e evitato ogni braccio di ferro hanno progressivamente – mano a mano che si intensificavano le richieste di attenzione da parte della Catalogna – lasciato il posto a ottusi comunicati-stampa: la Spagna è una e indivisibile. Come se fosse compito di Tusk o della Merkel o di Gentiloni intervenire sul principio di territorialità dello Stato spagnolo e non, piuttosto, dire qualcosa e adoprarsi sulla più grave crisi – dopo la fine della Yugoslavia – all’interno di uno stato europeo. Per l’Europa di Bruxelles, perciò, la Catalogna è solo un’espressione geografica. D’altronde questo è stato il “modello greco”: quando scoppiò la crisi del debito pubblico della Grecia e le condizioni imposte dalla Germania e dall’Europa per il suo rientro parvero a Tsipras inaccettabili e indisse un referendum se rifiutarle o meno – con una larga maggioranza che si espresse per la resistenza – nessun governo europeo mosse un dito. La Grecia fu abbandonata al suo destino che, viste le condizioni di ricatto economico e la sproporzione di forze, significò poi l’umiliazione. E è proprio questo, il “principio di umiliazione” l’unica “offerta” finora fatta da Rajoy ai catalani: disconoscere tutto il proprio percorso decennale di autonomia. E è proprio questo, il “principio di umiliazione” l’atteggiamento europeo verso i catalani. Il “partito” di Bruxelles – il suo parlamento e la sua commissione – è perciò presto detto: eserciteranno tutto il proprio potere di ricatto economico contro la Catalogna.
Eppure, per chi ha a cuore le sorti dell’Europa e sente sempre più lontana e ostile la sua costruzione “economica” e il suo governo “monetario” il referendum catalano e la dichiarazione di indipendenza vanno proprio in senso ostinato e contrario alla Brexit, che è stato, senza alcun dubbio, un vero shock: se gli inglesi hanno votato per staccarsi da questa Europa e farsi gli affari propri, senza mettere in discussione la costruzione europea, il voto catalano rimette al centro la questione “politica”: l’Europa degli Stati non funziona se non a danno delle economie territoriali e della crescita dei diritti sociali. In modo clamoroso questo è stato evidente con la crisi greca, ma intere aree territoriali europee sono ormai abbandonate alla dismissione e al declino. La grande crisi del modello produttivo e del welfare europeo prima, e la fine dei “trasferimenti assistenziali” e di contenimento intervenuta dopo la crisi dei debiti pubblici e gli obblighi di bilancio poi – nonostante i “magheggi” della Banca centrale – non ha trovato sinora altra soluzione. Dismissione e declino di produzione, ambiente e diritti, un processo lento, inarrestabile: la rana non va messa dentro l’acqua che bolle già, ma lasciata nell’acqua a bollire progressivamente, così non salta via.
In Catalogna quello che emerge è la crisi della forma-Stato costruita intorno all’idea di nazione che è stato il carattere proprio della costruzione europea: una forma-Stato già messa in crisi dai processi economici della globalizzazione. Adesso, la crisi è direttamente politica, e che il problema sia solo la destinazione del gettito fiscale è proprio un diversivo: la crisi è della politica, dei processi decisionali sul governo dei territori. Lo Stato centrale non difende i suoi territori, quando non si fa direttamente interprete dei processi della finanziarizzazione globale: se c’è qualcuno che è illegittimo qui, che non rappresenta la volontà e il diritto naturale dei suoi elettori, è proprio il governo spagnolo.
Ma quello che è anche arrivato al capolinea è il processo delle “autonomie” concesse dagli Stati a alcune sue aree – vale per la Catalogna, in modo più drammatico e evidente, come per i Paesi Baschi, per la Scozia, per l’Irlanda del Nord, per la Corsica, per la Germania dell’Est, per la Sicilia e la Sardegna. Processi dissimili e difformi, come dissimili e difformi sono le storie, antiche e recenti, le culture, le produzioni, e sicuramente lo saranno gli esiti, di questi territori. Quello che è in crisi è lo Stato, la forma dello Stato europeo del secondo dopoguerra, quello delle grandi coalizioni e dei compromessi storici tra lavoro e capitale, quello di popolari cattolici e socialdemocratici; e quello che viene messo in discussione è il “potere politico” sui territori, che non può essere governato da potenze “lontane” e indifferenti.
In modo evidente, questo sta prendendo forma in Catalogna: Rajoy “commissaria” un governo e un parlamento liberamente eletti, ma quel governo e quel parlamento e tutte le istituzioni a essi collegate sono ancora riconosciuti dal popolo catalano. Rajoy indice nuove elezioni per il 21 dicembre, come a dare una vernice di legalità al commissariamento della forza, ma queste elezioni non possono essere accettate da quella maggioranza del popolo catalano che si è già espressa nel voto. Nuove elezioni possono essere riconosciute dal popolo catalano solo se indette dal governo che ha liberamente eletto. Senza tenere conto che già sui territori municipali, dove le istituzioni di governo sono necessariamente più vicine ai bisogni e alle volontà del popolo, più dei due terzi dei 947 sindaci, riuniti nell’Associazione dei municipi per l’indipendenza, appoggiano la Repubblica. È come un dualismo di poteri politici e di istituzioni. Questo è il processo costituente. Una situazione drammatica ma straordinaria. E i movimenti europei dovrebbero cogliere questa opportunità.
È un’altra Europa che dobbiamo costruire, a partire dal basso, dalle economie territoriali e dai diritti sociali. Questo dice la Catalogna.