Affaire Porto, la gestione aziendalistica di un’autorità pubblica pondera gli interessi della collettività?
Sulla costa di Termini Imerese è stato presentato un progetto per la conversione da porto turistico a commerciale. Fin da subito la cittadinanza si è mobilitata per rivendicare voce in capitolo sul futuro del litorale cittadino; la conversione del porto infatti avrebbe un forte impatto ambientale modificando profondamente la costa e aprendo la strada alle navi container. Pubblichiamo di seguito un contributo di un’attivista del Comitato.
Di Giusi Baglieri del Comitato Città Porto per un futuro sostenibile
Il pondŭs latino è il peso, ponderare è soppesare e bilanciare. L’azione politica non è altro che una continua e persistente ponderazione di interessi legittimi e di bilanciamento degli stessi, e il tutto dovrebbe avere come fine ultimo la realizzazione del bene della collettività.
Ogni soggetto che viene quindi eletto, esercita la rappresentanza popolare, non solo di chi lo ha direttamente votato, ma della collettività tutta e se ne fa quindi carico nella sua globalità.
Il politico è quindi espressione di una rappresentanza popolare diretta.
Altra cosa è invece l’amministratore di un ente, l’Adsp (Autorità di Sistema Portuale) che ha l’assetto di una società per azioni anche se in mano pubblica e ha come obiettivo il perseguimento di un pubblico interesse mediante le regole del codice civile.
Chiarezza sulla vicenda
Ma facciamo un po’ di chiarezza su uno dei vari acronimi di cui sentiamo ripetutamente parlare in questi giorni: AdSP, Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale.
Come riportato dal sito Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale | Autorità Portuale di Palermo-AdSP mare di Sicilia Occidentale (adsppalermo.it), il Decreto Legislativo n. 169 del 4 agosto 2016 sulla “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità Portuali di cui alla Legge 28 gennaio 1994”, ha rivoluzionato il panorama delle autorità portuali per rilanciare il sistema portuale italiano. Con tale D.lgs sono state istituite quindici Autorità di Sistema Portuale che hanno sostituito le precedenti 24 autorità portuali, cambiando la loro governance e centralizzando la nomina dei vertici.
Obiettivi della nuova Autorità: Snellimento delle procedure, miglioramento dell’efficienza, aumento della capacità di creare occupazione e sviluppo economico, sostenendo la cooperazione tra porti geograficamente vicini sono alcuni degli obiettivi propri del nuovo assestamento.
Alla guida delle nascenti autorità di sistema vi è un board snello e un presidente manager con ampia facoltà decisionale. Una riforma che garantisce una forte centralizzazione delle scelte strategiche e considera le authorities come un unico sistema portuale nazionale, in un’ottica di cooperazione e non di competizione che valorizzi il “molo Italia”.
L’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale gestisce e coordina i porti di Palermo, Termini Imerese, Trapani e Porto Empedocle che insieme costituiscono un nodo centrale del Corridoio Scandinavo-Mediterraneo, armatura infrastrutturale multimodale che ricentralizza il Mezzogiorno come piattaforma logistica euro mediterranea.
Operando in un contesto europeo ed essendo soggetti alla normativa comunitaria, le Adsp sono gestori di attività economica e anche se la configurazione normativa delle Adsp italiane risponde al modello dell’ente pubblico non economico, a livello europeo queste sono enti di natura commerciale a tutti gli effetti, e quindi non solo sono soggette alla tassazione, ma anche alle regole della concorrenza.
Questo punto presenta però una contraddizione di non poco conto, considerando i limiti con cui il concetto di concorrenza può essere applicato ad infrastrutture che afferiscono più ad un monopolio naturale che al libero mercato.
Tra le due alternative dell’assetto pubblico o privato è stato da più parti richiesto il perseguimento di un terzo profilo, quello cioè delle società per azioni in mano pubblica, in cui la proprietà delle Spa portuali dovrebbe restare nella sfera statale, con azionista unico il Ministero dell’Economia e l’esercizio della funzione di indirizzo e di controllo nelle mani del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, esattamente come avviene ad esempio per le Ferrovie dello Stato.
Le AdSP svolgono anche e soprattutto ruoli di natura pubblicistica e queste andrebbero mantenute anche nell’assetto di società per azioni: pensiamo ad esempio al potere di ordinanza per la tutela dell’interesse pubblico in caso di revoca o sospensione di concessioni per la realizzazione di infrastrutture di particolare rilevanza.
Trasformare le Adspin Spa comporterebbe però notevoli rischi connessi alla privatizzazione di un asset di interesse collettivo che limiterebbe di fatto i poteri autoritativi indispensabili per il perseguimento di funzioni di interesse generale. Per questo sarebbe più idoneo utilizzare la veste giuridica dell’ente pubblico economico, che consente maggiore flessibilità e autonomia nelle scelte economiche ma dall’altro consente il mantenimento dei poteri pubblicistici necessari a ricoprire il ruolo di potere sovraordinato rispetto ai concessionari.
E ciò, per tornare all’incipit di questo articolo, proprio nell’ottica del ponderare interessi di varia natura, tenendo sempre come faro l’interesse della collettività nel suo insieme.
Essendo di fatto un ente pubblico economico, dovendo competere in ambito europeo anche con i porti del Nord Europa, ed essendo guidate da “un presidente manager con ampia facoltà decisionale”, le AdSP perseguono obiettivi economici misurabili sulla base dei quali viene valutata la loro azione amministrativa e le loro performances operative.
Da ciò discende una impostazione aziendalistica del proprio operato, che porta ovviamente e meritoriamente, in caso del raggiungimento degli obiettivi economici prefissati, ad avanzamenti di carriere e prospettive economiche.
Se da un lato ciò comporta senz’altro un maggiore dinamismo nello svolgimento del proprio ruolo, con l’interesse primario dell’istituzione alla realizzazione proficua dei piani, alla gestione virtuosa della spesa pubblica, alla messa a terra dei progetti e delle opere pubbliche, al perseguimento quindi dell’interesse dell’ente e della società nel suo complesso, la natura ovviamente limitata dei mandati può portare al perseguimento della realizzazione dei propri obiettivi in qualche caso anche forzando, del tutto all’interno delle procedure normative previste, alcuni iter burocratici che sembrano rallentare l’esecuzione delle opere infrastrutturali indispensabili allo sviluppo delle opere.
Se all’interno del mio mandato ho l’obiettivo primario di incrementare il traffico commerciale di un determinato porto, farò quindi in modo di perseguire, in maniera del tutto legittima ovviamente, il mio obiettivo, cercando di trovare una soluzione immediata che mi consenta di eliminare gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di tale obiettivo.
Se ho quindi un PRP approvato e vigente che limita lo spazio operativo del bacino commerciale di cui potrei disporre perché prevede la compresenza di una parte notevole destinata a porto turistico, cercherò quindi, del tutto legittimamente, di espellere ciò che mi limita, di eliminare ciò che dal mio punto di vista è un limite alla realizzazione dei miei obiettivi nei tempi più rapidi possibili.
Se tale parte del bacino, destinata alla funzione turistica, non essendo mio core business e non essendo quindi nei miei obiettivi, verrà realizzata altrove e con quali mezzi, non è mio interesse primario, anche se è l’interesse primario della comunità in cui tale porto è insediato.
Chi fa gli interessi delle comunità?
L’interesse della comunità ad avere una parte del bacino portuale destinata al diportismo dovrebbe essere difeso da chi quella comunità è destinata a governare, e qui torniamo al ruolo del politico.
Il politico non è un manager, non deve perseguire obiettivi eminentemente economici il cui raggiungimento determinerà il suo avanzamento di carriera e di status economico.
Il politico deve ponderare e contemperare gli interessi della comunità che amministra e deve far ciò anche affrontando, e a volte anche scontrandosi a viso aperto e in totale trasparenza, per la difesa degli interessi complessivi della sua comunità, per il bene della stessa nell’immediato presente e nel futuro.
Se l’amministratore di un ente con finalità economiche ha l’interesse di perseguire quanto a lui demandato all’interno dell’arco temporale limitato del proprio mandato, al politico sono demandati gli interessi di una comunità, senza vincoli di tempo. Il suo operato non si valuterà nell’ambito del tempo del suo mandato ma avrà effetti inevitabili sul futuro delle prossime generazioni, di cui deve sempre tener conto in ogni propria scelta amministrativa.
Orbene, a Termini Imerese, nell’ambito dell’affaire porto, il ruolo del politico e quello del manager sembrano confondersi, con il politico che sembra incarnare anche il ruolo di manager di un ente esterno alla città e che per la città determinerà l’ importante sottrazione di un bene, quale il porto turistico, senza nessuna reale certezza in merito alla concreta realizzazione dello stesso in altro sito, il quale sembrerebbe del tutto inidoneo ad ospitarlo date le molteplici criticità tecniche che in esso insistono.
Ogni cosa al posto giusto, e ad ognuno il suo ruolo: il politico faccia il politico e il manager faccia il manager. Tutti però nell’interesse generale della comunità.