Alcune cose che non sono state dette sull’autonomia differenziata
Autonomia differenziata: maggioranza, opposizione, movimenti e sindacati, mettono al centro della discussione lo storico divario tra nord e sud. Con mirabile sfoggio di lungimiranza alcuni avvertono che questa legge anziché diminuirlo il divario lo aumenterà; altri sostengono invece che si entra in un’era di giustizia per chi sinora si è sacrificato per il bene di tutti (le regioni del nord padano) e che ora, finalmente, merita riscatto; altri ancora che questa legge “apparentemente” ostile alle regioni del Sud stimola invece la competizione e quindi attiva lo sviluppo. Naturalmente il “nostro” ex presidente della Regione Musumeci (attuale Ministro del Mare e della Protezione Civile) è tra questi ultimi: «Il sud deve smetterla di piangere»; «noi abbiamo bisogno di competere con il Nord» – afferma in Parlamento.
La competitività
Il centro, il cuore pulsante, della riforma – che rappresenta il continuo della riforma del 2001, quella che aveva attaccato il titolo V della costituzione – è la competitività, la competizione in un sistema economico al collasso. Insomma: fine dei salvagente, chi non riesce a nuotare muore.
E non si tratta, come da più parti ci si affanna a sostenere, solamente di competizione tra nord e sud. Chi si attarda in questo tipo di visione, come fanno CGIL, Partito Democratico e buona parte della sinistra, non coglie la nuova geografia che sta costruendo l’attuale modello di sviluppo.
Sono i territori l’oggetto del contendere, o meglio è quello che OCSE e Commissione europea chiamano significativamente “capitale territoriale” ossia l’insieme di risorse localizzate, di esternalità tecnologiche ed economiche, di efficienza dei fattori della produzione e di modello di governance. E questo accade al nord come al sud, con zone ove il capitale tende a concentrare i suoi affari e zone serventi di diritto reale minore o, come oggi accade sempre più spesso, completamente abbandonate a loro stesse, periferie di un sistema centrato sulle reti funzionali.
Non si tratta quindi della “secessione dei ricchi”
Non si tratta quindi della “secessione dei ricchi” (magari i “ricchi” se ne andassero con il loro mondo e con i loro affari) e non si tratta di attacco all’unità d’Italia, al tricolore, alla patria. Perché è questo il tricolore, questa la patria, questa l’Italia dello sviluppo ineguale. E se lo sviluppo ineguale è sempre caratteristica del sistema economico capitalista, oggi questo carattere sclerotizza liberandosi da ogni forma di mitigazione sociale dei suoi effetti.
L’autonomia differenziata è funzionale alle politiche di ridefinizione dello Stato nell’epoca della grande competizione. Un cambio degli assetti istituzionali che seppellisce definitivamente i racconti su sussidiarietà e solidarietà tra territori «per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» (come recita il nuovo art. 119 del titolo V della Costituzione).
Le centrali del potere economico potranno succhiare maggiori risorse alle periferie,
più di quanto non si faccia già adesso con la scuola, l’università, la sanità, le infrastrutture e l’industria. È questa la pretesa “perequazione”, questa l’efficienza che sta alla base dell’autonomia differenziata. Dentro questo sistema economico, efficienza è sinonimo di massimizzazione del profitto, non di capacità di rispondere alle esigenze degli abitanti dei territori.