A Belmonte si ricorda l’insurrezione del Sette e Mezzo
Ogni anno dal 15 al 22 settembre ricorrono le giornate del “Sette e Mezzo”, un’insurrezione dal carattere popolare che dai paesi limitrofi, come Monreale, Montelepre, Misilmeri, Marineo, Bolognetta, si diffuse nella città di Palermo. Anche quest’anno verranno ricordare quelle giornate con un’iniziativa pubblica in uno dei luoghi in cui ”esplose” l’insurrezione, la cittadina di Belmonte Mezzagno.
Domani, 20 Settembre, alle ore 17:30, si svolgerà un dibattito pubblico presso lo “Stagnone” di Belmonte; ci sarà anche una mostra documentaria.
L’iniziativa è organizzata dalla Consulta giovanile di Belmonte, “portavoce” delle istanze giovanili del paese, dal Centro Zabùt e dal “Comitato Mizzagnotu Belmonte nella Storia”. Dopo un’introduzione di Maria Occhione, Presidentessa della Consulta, il professore Elio Di Piazza parlerà degli avvenimenti e dell’importanza, per la storia siciliana, di quelle giornate.
La rivolta del “Sette e Mezzo”, esplosa a metà Settembre del 1866, si accese nei paesi intorno a Palermo, tra cui la stessa Belmonte Mezzagno, per estendersi subito dopo al capoluogo siciliano. La forte crisi economica, le politiche del governo post-unitario, la renitenza alla leva militare stanno all’origine di quei moti popolari. Alla testa degli insorti, diversi ex-garibaldini guidavano le masse di contadini e di artigiani decisi a tutto. Al grido di “Viva la Repubblica” e “Viva Santa Rosalia”, sventolando bandiere rosse, gli insorti occuparono i Comuni e assaltarono le caserme, mettendosi alla guida dell’insurrezione per una “settimana e mezzo”.
Il Sette e Mezzo fu una rivoluzione iniziata nelle periferie poiché erano quelle che pagavano il prezzo più caro della crisi post-unitaria. Nell’occasione del “Sette e Mezzo” si è manifestato, infatti, tutto il carattere coloniale e il disinganno successivo al processo di unificazione che contribuì ad accrescere, non di poco, il peggioramento delle già misere condizioni economiche in cui versava la popolazione siciliana. Nel vicino paese di Monreale si formarono delle squadre di “insorgenti” che raggiunsero Palermo la sera del 15 settembre. A essi si unirono rivoltosi provenienti da altre cittadine della provincia per portare l’insurrezione nel capoluogo già alle prime mattinate del 16 .
In quelle giornate si distinsero i “picciotti” che mostrarono tutta la fragilità del neonato Stato italiano, dando prova dell’invincibilità della forza popolare, della “facilità”con cui le istituzioni e i rapporti di forza possono essere rovesciati.
Per domare l’insurrezione furono necessari bombardamenti da terra e da mare, migliaia di morti, un numero altissimo di arresti e di condanne a morte. Un bagno di sangue di cui ancora non si conosce l’esatta entità, ma che travolse diverse migliaia di siciliani e siciliane all’indomani dell’unificazione nazionale.
Ancora oggi si cerca di negare la natura anti-coloniale della sollevazione popolare. Ma è la prima volta, dopo il 1860, che in Sicilia si manifesta il separatismo indipendentista. Nei comitati promotori e in quelli insurrezionali, nei monasteri e nelle campagne, si ritrovarono insieme contadini, picciotti, artigiani per insorgere contro un nemico identificato nei prefetti, nei carabinieri, dunque nei rappresentanti istituzionali dello Stato.
E’ importante ricostruire fondamentali momenti della storia che i regimi hanno sempre cercato di cancellare. Questo è uno degli obiettivi principali del Centro Zabút e della Consulta Giovanile di Belmonte. Restituire ai siciliani il proprio passato che il sistema coloniale prova a svuotare e a deformare, per tenere viva una memoria fatta di insorgenze e di rivolte.