In cammino per difendere lo stretto di Messina
È difficile dire quanta gente sia arrivata sabato a Torre Faro per la manifestazione No Ponte. Forse all’inizio, prima ancora che il corteo partisse, potevano farsi delle stime, ma la gente continuava ad arrivare, da via Circuito e dalla direzione opposta. Ce n’era talmente tanta che in attesa della partenza la testa ha dovuto fare svariati metri in avanti per fare spazio a chi arrivava per mettersi dietro lo striscione. E comunque stabilire il numero preciso ha poca importanza. Lo lasciamo fare alla questura e a chi lo usa solo per tentare di ridimensionare e sminuire una giornata storica.
«Non saprei dire quanti siamo – dice Massimo dal camion – ma guardando da qua sopra mi viene da dire che è la più grande manifestazione fatta a Torre Faro nella storia del movimento No Ponte». Non serve aggiungere altro.
Anche per questo pensiamo sia quasi superfluo fare solo una cronaca della giornata di sabato. È già stato detto tanto, anche se non abbastanza, su giornali e tv. Preferiamo invece soffermarci sull’importanza che ha avuto la risposta di piazza al “Decreto Ponte” voluto da Salvini, convertito in legge dal Parlamento. Preferiamo guardare già in avanti, a partire da una lettura che vada oltre la superficie.
Il Ponte simbolo di una logica coloniale
Come abbiamo ribadito più volte il Ponte non è solo una grande opera inutile, è la rappresentazione plastica, il simbolo, della natura coloniale ed estrattivista del sistema capitalista. Un sistema politico, economico e sociale che costringe migliaia di siciliani e calabresi a emigrare verso le grandi città del nord Italia e d’Europa, che impone impianti di morte, chiusura di ospedali, abbandono di infrastrutture utili, carovita e povertà.
Una risposta alla crisi della rappresentanza politica
Stiamo attraversando una fase dove la crisi della rappresentanza politica la fa da padrone, con numeri di astensione nelle tornate elettorali fortemente in crescita. Dopo anni di governi-ammucchiata siamo tornati a un governo di destra, che senza la necessità di nascondorsi dietro la faccia di Monti o Draghi può dare libero sfogo a misure repressive e antipopolari. Abbiamo un presidente del Consiglio che nonostante la propaganda in campagna elettorale, non sta dando le risposte che i suoi elettori speravano, quanto meno rispetto a ripresa economica e inflazione.
E dall’altro lato non c’è niente. Elli Schlein non è arrivata per cambiare la natura neoliberista del Partito Democratico e Conte deve ancora decidere che cosa bisogna farsene del Movimento 5 stelle. È vero, entrambi – in tempi e modi diversi – hanno dato un contributo per riportare i temi del reddito e del salario minimo al centro del dibattito pubblico, ma ci vuole ben altro.
Il capitalismo finanziario, le lobbies, le multinazionali, i potentati economici nazionali si stanno riorganizzando a partire dalla stabilità che potenzialmente può garantire il governo Meloni. E la risposta alla stabilità sistemica della precarietà, della devastazione dei territori, alle politiche di militarizzazione ed escalation militare non può che arrivare dai territori.
In cammino per cambiare rotta
Il fiume di gente che ha letteralmente invaso Torre Faro non è altro che questo. E dà la misura di quanto sia generalizzato il bisogno di immaginare e costruire una società diversa da questa. Di quanto bisogno ci sia di contare e insieme decidere veramente per essere un’alternativa concreta alla catastrofe che avanza.
Il movimento No Ponte dentro questa contingenza può e deve essere il soggetto politico che sulle sponde dello Stretto rappresenta e organizza questo bisogno. Ma dipenderà da tutti e tutte coloro che sabato hanno voluto esserci.