Catalogna e Rojava. L’indipendenza è sotto attacco!
Sono giorni infuocati fuori dalla Sicilia. Giorni di bombardamenti e sentenze in tribunale. Sembra quasi un caso ma mentre la Catalogna aspetta la sentenza dal tribunale supremo contro l’indipendentismo, la Turchia torna all’attacco contro i curdi. Negli stessi giorni – anche se con armi differenti e a molti chilometri di distanza – si vivono dei momenti cruciali contro le più importanti esperienze di lotta popolare contro la forma stato, i rapporti sociali e di sfruttamento e per l’autogoverno dei territori.
Lo diciamo perché per alcuni, forse, queste due storie non hanno niente in comune. E, infatti, ancora nessuno si è sognato di metterle accanto, di farle camminare insieme nel racconto collettivo. Per molti la lotta per l’indipendenza della Catalogna ha meno dignità perché combattuta anche dalla borghesia catalana. Per questo motivo sarebbe una battaglia volta soltanto per rendere economicamente autonoma la regione più ricca della Spagna. E che questo non ha niente di rivoluzionario. Mentre in Kurdistan – o comunque nei territori liberati della Siria del Nord – mettono le bombe e sparano contro jiadisti e Turchi, lì hanno messo un esponente delle elites a dichiarare l’indipendenza.
Vero è che le forme in cui i due processi di lotta si sono dati e si stanno dando sono molto differenti. Altrettanto vero è, però, che non si può pensare che lo scontro dentro la fase geopolitica attuale si dia nello stesso modo in Europa e in medio-oriente. Anche perché molto spesso queste sono differenti anche all’interno dei confini degli stati nazionali. In più non ci dobbiamo dimenticare che tutti i vertici dell’indipendentismo catalano, compresi i rappresentanti delle elites, sono in esilio e a processo per ribellione. Accusa che prevede una pena fino a 30 anni di carcere. Accusa mai mossa dallo stato Spagnolo dopo la liberazione dal franchismo.
E poi c’è un aspetto che forse alcuni tralasciano e che – anche per fatti recenti – mette in comune i due processi di emancipazione: sono terroristi vanno fermati. Per quanto riguarda i curdi è risaputo, il PKK è nella lista delle organizzazioni terroristiche da decenni e ormai non ci pensiamo neanche più. Per gli Stati Uniti erano buoni quando combattevano l’Isis. Adesso sono tornati a essere i terroristi rossi nemici degli USA per cui non vale la pena mettere in pericolo vite di americani. Per i catalani e, in particolare, quelli dei Comitati di difesa della Repubblica è una novità quella di essere accostati ai terroristi. Ed è stato fatto in seguito ad un’operazione di polizia della guardia civil nei confronti di nove militanti dei CDR in cui sarebbe stato trovato materiale esplosivo. L’accusa è quindi arrivata perché stavano preparando azioni violente. Questo a meno di un mese dalla sentenza del tribunale supremo.
Insomma sarà un caso ma la realtà è questa. Negli stessi giorni le uniche esperienze che negli ultimi anni sono riuscite a produrre teoria e pratica politica proiettata in avanti, innovativa e per certi aspetti vincente, vengono messe in discussione. A noi non stupisce per nulla il fatto che in entrambi i casi si declini il tema dell’indipendenza non come mera rivendicazione per il riconoscimento di uno staterello. E la novità sta tutta qui. I curdi, che partono con l’obiettivo di avere riconosciuto lo stato del Kurdistan, procedono con un cambio di rotta verso il confederalismo democratico e del governo dei territori senza lo stato. I catalani – gli stessi che vengono accusati di terrorismo – fanno parte di quelle esperienze politiche nate dopo il referendum e che ripartono proprio dai luoghi in cui si sono presentate forme di rifiuto nei confronti delle imposizioni dello stato spagnolo e che già oggi sono organizzazione e pratica per un’alternativa sociale senza lo stato.
Sarà un caso ma queste teorie e pratiche politiche proprio perché mai viste, dimostrano la capacità di sfuggire alla compatibilità capitalistica. E, sarà un caso, ma sono sotto attacco!
Noi in Sicilia abbiamo guardato e guardiamo con attenzione e interesse a questi nuovi processi per l’indipendenza e l’autodeterminazione. Li intrecciamo con le esperienze della nostra pratica e della nostra teoria. Per questo, ci schieriamo senza se e senza ma con i nostri fratelli e le nostre sorelle curde e catalane.