Chi di Antimafia ferisce
Lunedì 22 gennaio si è aperto a Palermo il processo contro 14 tra giudici, avvocati e vari professionisti della “Palermo bene” accusati di far parte del “cerchio magico” di Silvana Saguto, la principale accusata.
L’ormai ex capo (adesso è sospesa) della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo è imputata per associazione a delinquere, abuso di ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione a dare o promettere utilità. In totale sono circa un centinaio i capi d’imputazione per gli indagati tra i cui nomi spiccano quelli dell’avvocato Cappellano Seminara, dell’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, dell’ex professore Carmelo Provenzano, del figlio e del padre della stessa Silvana Saguto. Insieme ai nomi eccellenti, ad essere chiamati all’appello in aula, anche tutti gli altri magistrati componenti la Sezione Misure di Prevenzione del tribunale palermitano.
Secondo l’accusa il cerchio magico si sarebbe occupato per anni di costruire un vero e proprio business sulle confische dei beni – case, società, negozi, auto – disposte proprio dagli uffici presieduti dalla Saguto a vantaggio degli aderenti al sodalizio. In sostanza, secondo gli inquirenti, la Sezione disponeva sequestri e confische preventive con una certa “allegria” incaricando poi avvocati e professionisti amici di occuparsi della curatela di questi beni. Le nomine giravano sempre attorno gli stessi nomi potendo, i magistrati, muoversi con una buona arbitrarietà in simili procedure. I beni confiscati venivano poi o fatti fallire (nel caso di aziende e società in molti casi anche in splendida salute al momento della misura preventiva) o venduti all’asta a prezzi irrisori e a vantaggio sempre degli amici del “cerchio magico” informati prima degli altri sulle aste giudiziarie.
Veri e propri imperi economici sono stati così costruiti: troppo ghiotta è stata, a quanto pare, per gli imputati, l’opportunità offerta da una legislazione speciale antimafia che concede ampi spazi di manovra a giudici e magistrati. Val la pena infatti ricordare come proprio la legge sulle “misure di prevenzione” non preveda uno schema esattamente garantista: anche di fronte a successive assoluzioni dell’indagato (quindi ancora prima che i processi partano) a cui è stato sequestrato il patrimonio, questo non dovrà essere restituito al proprietario con medesimo valore dei beni stessi. Società che al momento del sequestro davano lavoro a centinaia di persone venivano dunque regolarmente fatte fallire – per il cerchio magico ciò che contava era il compenso altissimo per la curatela, mica lo sviluppo del bene posto sotto essa; da qui la rabbia di ieri in aula di vari imprenditori (Niceta, Virga) e di tante persone che hanno chiesto di potersi presentare “parte civile” nel processo appena iniziato.
Comunque andrà l’iter processuale (ci interessa relativamente) ciò che questa inchiesta ha scoperchiato sarà comunque difficile da cancellare. La Palermo-bene dell’Antimafia e della Legalità scoperta a lucrare proprio sulle inchieste per associazione mafiosa; le reazioni rabbiose dei tanti nei quartieri popolari che leggendo i giornali identificavano i nomi di chi gli aveva portato via tutto senza che neanche si fosse stati giudicati colpevoli; la consapevolezza che l’Antimafia istituzionale si è rivelata l’ennesima arma contro i soggetti meno garantiti sul territorio, un’arma per i ricchi contro i poveri della città.
E poi a Palermo ci si chiede il perché la maggior parte delle persone non abbia nessuna fiducia nello Stato… chissà.