Con le pezze al culo
30 anni di mala politica. E’ questa la spiegazione per i 7,3 miliardi di disavanzo cui la Regione Siciliana dovrà far fronte (6 spalmati in 30 anni e il resto in 3). Ma guarda un po’. Verrebbe da dire. Come mai non ci hanno pensato prima?
Ma sarebbe più pertinente chiedersi quale sia la composizione politica che ha dato vita alla candidatura, prima, e all’elezione, poi, di Nello Musumeci a governatore. O chiedersi quale sia la composizione del centrosinistra che oggi è all’opposizione, ma fino a ieri governava con Crocetta presidente.
Musumeci ha detto, giustamente, nella conferenza stampa indetta per mitigare l’allarmismo che era scaturito dal blocco delle spese, che tutti sono responsabili, che nessuno può tirarsi fuori. E il punto è proprio questo. A essere responsabili di questo disastro sono le forze politiche siciliane che, alternandosi alla guida della Regione, hanno chiuso gli occhi davanti all’accumularsi del disavanzo. E all’interno delle forze politiche del centrosinistra e di quelle del centrodestra, attualmente in campo, non c’è mai stata una soluzione di continuità, né nelle politiche né nel personale politico.
Il DL 118, la Tac citata da Musumeci in conferenza stampa, ha scoperchiato gli altarini, ha mostrato tutte quelle entrate attese, ma non credibili, che negli anni hanno giustificato spese insostenibili. Il DL 118 è la confessione che i bilanci approvati negli ultimi decenni erano falsi. Sì, perché il DL 118 impone il riaccertamento straordinario dei residui. Questo, però, non esime a posteriori i controlli che dovevano essere fatti in precedenza. Controlli che non sono stati fatti e che hanno consentito spese non sostenibili che oggi emergono come disavanzo. Armao in conferenza stampa ha avvertito i giornalisti di non confondere il disavanzo con i debiti. Per fortuna ci ha pensato il ragioniere generale della Regione a chiarire che ogni euro destinato al riequilibrio del disavanzo sarà un euro tolto alla Sicilia. Insomma, che il debito sia con un creditore o con te stesso non cambia molto. Bisognerà fare sacrifici per ripianarlo. E i sacrifici dovranno farli, come sempre, tutti i siciliani e le siciliane, soprattutto i più poveri.
La storia del disavanzo della Regione Siciliana è la storia dell’indebitamento in cui sono immersi i Comuni e le ex Provincie. Un recente Rapporto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia rileva che un terzo dei Comuni siciliani si trova in uno stato di criticità finanziaria. Considerando la crisi economica in atto, in particolare del territorio siciliano, non è improbabile che una tale valutazione, sebbene molto preoccupante, possa essere addirittura giudicata ottimistica.
Le ragioni della criticità finanziaria degli Enti Locali sono ascrivibili a una molteplicità di motivazioni. Tra queste, di sicuro, una generale difficoltà nella riscossione dei tributi. Difficoltà che ha, a sua volta, svariate motivazioni: carenze di carattere organizzativo da parte dei Comuni, morosità incolpevole determinata da povertà sempre più diffusa, scambio clientelare tra amministrazioni e corpo elettorale.
In generale, però, si è assistito negli ultimi anni a una riduzione progressiva dei trasferimenti dal centro alla periferia che ha privato l’ente locale di risorse precedentemente garantite. Infine, e forse fondamentalmente, in seguito alla crisi economica seguita al 2008, nel quadro di una generale politica di austerità da offrire al giudizio dell’Unione Europea, è stato deciso di far emergere situazioni debitorie che erano presenti, ma che rimanevano nascoste nei bilanci dei Comuni e delle loro partecipate. La mole dei debiti fuori bilancio che è andata aumentando all’approfondirsi del loro censimento, i disavanzi delle partecipate e l’accumularsi dei loro debiti, dimostrano che l’indebitamento degli Enti Locali è un fenomeno che si è stratificato nel tempo e che ha carattere politico.
Gran parte delle relazioni della Corte dei Conti descrivono un continuo procrastinare nel tempo le azioni di rilevazione e/o di rientro e/o di dichiarazione di dissesto (il caso del dissesto del Comune di Catania è, da questo punto di vista, paradigmatico). Le vicende che hanno riguardato e riguardano il risanamento finanziario del Comune di Messina appartengono a questa storia. In sostanza Musumeci, Armao e soci dovrebbero darsi poche arie. Vorrebbero farci credere che non è successo niente ma la realtà è un’altra: sono con le pezze al culo!
Il punto politico, cui oggi tutti siamo chiamati a corrispondere, è come si possa uscire da questa situazione. Un approccio meramente contabile, ragionieristico, oltre a essere ingiusto perché sottoporrebbe le popolazioni locali a un regime di austerità insostenibile, non sarebbe credibile. L’impoverimento si è talmente generalizzato che la qualità della vita per tantissimi risulta ormai incomprimibile. D’altronde una semplice cancellazione per legge di debiti e disavanzi, se non appare all’orizzonte come soluzione credibile, avrebbe il carattere, di una generale assoluzione di intere generazioni di amministratori che hanno usato le casse pubbliche come bancomat.
Il percorso di risanamento finanziario non può, dunque, eludere alcuni presupposti fondamentali. In primo luogo va messo sul banco degli imputati tutto il sistema politico-amministrativo che ha governato in questi ultimi trent’anni. Se è vero che, come dice Musumeci, nessuno può tirarsi fuori, “se ne vadano tutti”. Chi è stato causa del disastro non può esserne la soluzione.
In secondo luogo, i servizi fondamentali (sanità, trasporti, istruzione) non possono essere interessati dalle politiche di tagli. Il disavanzo lo paghi chi più ha. Di sicuro non può essere pagato dagli strati più fragili della popolazione. E’ necessario, cioè, introdurre la categoria della giustizia sociale dentro il dibattito sulle politiche di risanamento finanziario.
Infine, non è rimandabile l’istituzione di dispositivi di controllo popolare sulla gestione della cosa pubblica, pena il mantenersi di una gestione della rappresentanza politica come proprietà privata del notabilato dei partiti.