Contro le guerre degli Stati, indipendenza dei territori
Guardare al conflitto tra Russia e Ucraina dal punto di vista della geopolitica porta inesorabilmente a considerare la guerra come inevitabile e un suo allargamento come un esito possibile. Assumere, invece, il punto di vista dei territori e delle popolazioni ci fa cambiare prospettiva, ci offre l’opportunità di avere un’altra chiave di lettura. “Fight war, not wars”, cantavano i Crass quando si stava lanciando il piano di installazione dei missili Cruise e Pershing. Ci sembra quello un messaggio ancora attuale.
Nessuno ricorda le ragioni dei popoli
La Russia attacca l’Ucraina. Si grida pace, no alla guerra. Sacrosanto: l’orrore dei bombardamenti, la ferocia che si portano dietro le guerre, ripugna a chiunque conservi ancora un po’ di cuore. Il problema è che i cuori sembrano affetti da una tremenda aritmia. Sembra quasi che i battiti che ritmano le emozioni siano determinati dagli input di chi detiene il monopolio dell’informazione, del consenso insomma, di chi decide quando sia il tempo del cuore e il tempo dell’indifferenza e per cosa i nostri cuori debbano battere.
Non si può che essere contro l’invasore Putin, recitano preoccupati la maggior parte dei democratici, mentre un’altra parte si scaglia contro l’espansionismo occidentale (Nato e USA in primo luogo) che sarebbe la causa dell’attuale conflitto. E nessuno ricorda più le regioni del Donbass e le loro ragioni. Soprattutto nessuno ricorda più le ragioni dei popoli che abitano questa o quella regione del mondo e che loro malgrado furono irreggimentati entro quel sistema di linee/confini chiamati stati che i potenti del mondo tracciarono infischiandosene delle lingue, delle culture, delle storie di quei territori.
Di esempi se ne possono fare a valanga, ma – nella crescente polarizzazione degli sguardi – contano poco, non hanno alcun valore se non quello di una residuale testimonianza. Invece – come è stato per il Covid con l’intervento continuo, estenuante e fuorviante degli esperti virologi – ecco che acquistano pregnante centralità i commenti degli “esperti” in geopolitica.
E così l’attenzione generale si concentra sulle vicende degli Stati, sulle loro contraddizioni, sui loro conflitti di interesse. Su chi ha cominciato: “è stato lo storico imperialismo russo”, “sono stati i soliti americani e la Nato con il loro espansionismo provocatorio”, “si tratta di risposta alle provocazioni ucraine”, “si tratta della follia del nuovo zar russo”.
Il punto di vista dei territori
Scompare la storia minuta dei territori e primeggia incontrastata la storia degli Stati.
E così tutti ad interrogarsi: c’erano gli interessi geopolitici russi dietro i referendum per l’indipendenza e la proclamazione delle repubbliche del Donbass? C’erano gli interessi Usa e Nato dietro il golpe ucraino del 2014? C’erano i diversi interessi delle multinazionali dell’energia? I russi si presentano come salvatori. I russi non sono che invasori. La Nato difende la democrazia. La Nato costruisce l’egemonia armata dell’occidente nei paesi ex sovietici. Quelli di Sbilanciamoci. Info si chiedono: “Come reagirebbero gli Stati Uniti se il Canada o il Messico volessero entrare in un’alleanza militare diretta da Mosca?” Qualcun altro, a tal proposito, ricorda la crisi dei missili a Cuba.
Domande legittime, certo, ma domande che può porsi, appunto, chi si interessa di geopolitica, degli affari degli Stati o dei milieu para statali, di chi guarda al mondo con gli occhi e l’infinità di interessi di chi domina.
Con la Russia o con l’Ucraina? Ecco il succo di tanti discorsi, di ragioni accampate alla meglio, di appelli all’umanità, di intolleranza per chi aggiunge quel “però” che tenta di raccontare le ragioni dell’uno e dell’altro.
Ma chi si pone dal punto di vista degli abitanti dei territori, si pone tutt’altro genere di domande: ma perché le nostre vite debbono essere condizionate dai potenti e dai loro interessi? Perché mai dovrei andare in guerra per le contraddizioni scatenate dalle politiche degli Stati? Perché mai gli abitanti dei territori dovrebbero partecipare allo scontro tra aree economiche e politiche per la nuova spartizione del mondo?
Indipendenza dei territori
E qui sta proprio il problema: fino a quando ci sentiremo dello Stato e non dei territori che viviamo, saremo condannati al coinvolgimento diretto nelle sue vicissitudini, le loro crisi e le loro guerre saranno le nostre crisi e le nostre guerre. Fuori dalla guerra, per i territori siciliani, non significa solamente disfarsi dei governi che ipocritamente gridano pace mentre fomentano la guerra. Fuori dallo stato di guerra significa disfarsi delle basi militari (qui in Sicilia Sigonella, Niscemi e le altre postazioni Nato) che rappresentano e fanno le guerre. Oggi più che mai i popoli della terra si trovano davanti a due opzioni: o lottare per la propria indipendenza dagli Stati e dalle forme economiche che li sottendono, o precipitare nell’insieme di catastrofi che queste dannate creature in epoca capitalista stanno sprofondando il mondo.
Ancora oggi “fight war, not wars”.