Contro il vostro lavoro. Su Reddito di Cittadinanza e sfruttamento
È tornato aggressivamente protagonista dell’arena politica, impossibile non accorgersene: se ne parla nei talk show, è odiato dagli imprenditori, avversato dai politici. Parliamo del reddito di cittadinanza.
Nato nel 2019 come misura per contrastare la povertà, il reddito sarebbe secondo alcuni un “danno per la società e il mondo del lavoro”.
Le narrazioni sul RdC
Ogni giorno ne sentiamo di tutti i colori: c’è chi sostiene che il reddito costi troppo alle casse dello Stato, chi pensa che invece disincentivi il lavoro, chi esaspera la figura del “furbetto” trasformando chi percepisce il reddito in un genio della truffa.
“Il reddito rischia di portare all’estinzione la categoria dei lavoratori stagionali, così appagati dalla percezione dei 584 euro al mese per nucleo familiare da decidere di darsi a tempo pieno all’ozio”, afferma il presidente delle regione Campania Vincenzo De Luca, che continua: “il reddito di cittadinanza corrompe le persone al punto di portarle al parassitismo, e cioè a vivere sulle spalle degli altri, trasformando il rifiuto del lavoro in una specie di epidemia di massa che rischia di far collassare interi settori produttivi”.
E se dalla presidenza della Campania si vaneggia sul collasso della produzione, in Sicilia il presidente Musumeci non vuole certo essere da meno e fa presto ad allinearsi a questa crociata. Solo qualche giorno fa infatti dichiarava: “il reddito di cittadinanza ha scoraggiato il lavoro nel settore turistico ma anche in quello agricolo”. È chiaro quindi che anche nelle regioni a più alto tasso di disoccupazione e povertà le retoriche nazionali spinte da imprenditori senza scrupoli – e dalle loro espressioni politiche in parlamento – attecchiscono e fanno la sponda ad altre “lungimiranti” proposte, come quella del ministro Garavaglia che propone di dimezzare il reddito ai lavoratori stagionali.
Chi ha davvero fallito?
Queste affermazioni sono solo alcune delle numerosissime che costantemente attaccano le persone che percepiscono il sussidio.
Forse, se si presta attenzione ai dati recenti e meno recenti, chi si riempie la bocca sul reddito di cittadinanza, dovrebbe preoccuparsi dell’evidente fallimento delle politiche regionali, locali e nazionali di contrasto alla povertà: secondo l’INPS solo a marzo 2022, 1,05 milioni di nuclei percepisce questa misura con importo sotto i 600 euro, più italiani che stranieri, più residenti al Sud che al Nord. In Sicilia, in particolare, più di 260 mila famiglie percepiscono il reddito, confermando la regione al secondo posto su scala nazionale. Palermo e Catania insieme valgono quasi il 10% del totale nazionale dei nuovi richiedenti e delle nuove richiedenti. Questi numeri non lasciano molto spazio all’immaginazione.
È davvero il RdC il problema?
Ci preme però inserire un ulteriore elemento in questo discorso sul reddito e sull’esercito di indignati contro di esso: sembra ormai problema comune di piccoli imprenditori, albergatori, ristoratori, e molte altre categorie che ricercano i cosiddetti “lavoratori stagionali”, non riuscire a trovare dipendenti.
Il motivo secondo loro? Sempre lui! Il nostro reddito di cittadinanza, e i sussidi tutti.
“Sospendiamolo almeno in estate”, dice qualcuno.
Ci sorge il dubbio però, che il problema non sia affatto il reddito di cittadinanza che, per quanto permetta a migliaia di persone di campare, va pur sempre preso per quello che è:un sussidio misero strappato alle grinfie della burocrazia, agli errori dell’INPS e che si scontra spesso con l’impossibilità di accedere a strumenti telematici adeguati.
Abbiamo come il sentore che il motivo per cui non si trovano lavoratori e lavoratrici stagionali riguardi ragioni ben diverse: saranno forse le 12 ore al giorno di servizio? Saranno forse le paghe da fame, in nero, senza tutele? Saranno i finti contratti part-time quando si lavora ben più che un full-time? Sarà il modo inumano in cui si viene trattati mentre servi a un tavolo, pulisci una cucina, sistemi una camera d’albergo?
Nelle narrazioni che propongono solo un cieco e spesso malsano culto del lavoro, sembra che lavorare almeno un tot di ore al giorno sia l’unica cosa che conta, l’unica cosa che ci qualifica come persone degne di avere un posto in questa società.
Non importa che il lavoro sia malpagato, sia svilente, sfruttato, in nero, pericoloso, in alcuni casi anche mortale, basta che si lavori.
La verità però è che in Sicilia è questo il lavoro a cui dovremmo ambire, per cui dovremmo sgomitare, che dovremmo cercare districandoci tra le decine e decine di rifiuti per i nostri curriculum “inadeguati”.
Se “lavorare” per produrre e riprodurre questo modello di sviluppo significa essere impegnati 10 ore al giorno, 6 giorni a settimana, con turni flessibili, reperibilità e chi più ne ha più ne metta per 500€ in tasca – e spesso neanche quelli – allora sì, è proprio vero che non abbiamo voglia di lavorare.