Crisi climatica e crisi pandemica. Una soluzione: rivoluzione
Oggi pomeriggio torneranno in piazza tantissimi giovani per rispondere alla chiamata dello sciopero globale per il clima. Il primo dopo l’esplosione della pandemia e il conseguente lockdown per ribadire ai governi di tutto il mondo la necessità fermare la catastrofe in atto.
Pandemia e crisi climatica
Il 2020 è stato un anno senza precedenti per gli esseri umani e il pianeta. Il COVID-19 ha fatto migliaia e migliaia di vittime e altrettante ne farà la crisi economica e sociale che ne è scaturita.
Durante il Lockdown abbiamo assistito a una riduzione massiccia di emissioni di CO2 con la natura che si “riprendeva i propri spazi”. Questo, senza dubbio, ha restituito a tanti la consapevolezza che è la società in cui viviamo – i suoi tempi, le sue abitudini, il modo di produrre, di concepire il consumo, lo scambio – che produce devastazione. E senza dubbio ha dimostrato la strettissima correlazione tra crisi ambientale e modello di sviluppo capitalistico. Ma una volta terminate le restrizioni, le emissioni sono tornate, come prevedibile, ai livelli pre-lockdown.
Si stima che le emissioni di gas serra nel corso di tutto il 2020 siano diminuite – grazie ai periodi di stop – solo in una scala che va dal 4 al 7 per cento* su base annua. Se nulla cambia, mantenendo questi ritmi di produzione e sfruttamento, solo una pandemia ogni anno potrebbe permetterci di mantenere la temperatura globale sotto la ormai famosa soglia critica considerata da molti scienziati come punto di non ritorno, 1.5°C (in più rispetto alla temperatura terrestre prima della rivoluzione industriale). Può sembrare forzato trovare una correlazione tra crisi climatica e crisi pandemica, ma basta scavare un po’ più a fondo per scoprire che la causa primaria di entrambe è proprio il modello di sviluppo capitalistico. E che la prima ha favorito il diffondersi della seconda.
Crisi ambientale come causa e veicolo dei virus
La distruzione e il profondo mutamento degli habitat naturali stanno portando molte specie animali a cambiare le proprie abitudini e spingersi oltre il proprio territorio. Questo fenomeno colpisce per lo più animali selvatici ed esotici che, se fino al secolo scorso non avevano contatto diretto con gli uomini, ora sono minacciati dalla carenza di spazio dovuto al disboscamento predatorio messo in atto in numerose aree terrestri per allargare la superficie coltivabile e sfruttabile per gli allevamenti. La causa della trasmissione del COVID-19 non è ancora certa, ma numerosi studi mostrano come la vicinanza tra aree antropizzate e habitat selvaggi di giungle e foreste aumenta enormemente il rischio di “salti di specie” – anche detti zoonosi – dei virus da animali “selvaggi” a bestiami da allevamento. Il COVID-19 sembra essersi diffuso dal pipistrello al pangolino e successivamente all’uomo. E anche per questo si dice che la distruzione dell’ambiente sembra avere inciso rispetto alla diffusione del virus.
Inoltre si può facilmente notare come le aree più inquinate del mondo, a partire dalla Pianura Padana, sono anche quelle dove la diffusione e la pericolosità del virus sono state più violente. La geografia del virus ci dice che le grandi metropoli e le aree fortemente industrializzate sono state quelle con le percentuali più alte di contagio. L’alta densità demografica di queste aree ha fatto viaggiare il virus alla velocità della luce, rendendolo anche molto più aggressivo. Una verità che deve mettere in discussione il modello urbanistico delle metropoli e contemporaneamente la nuova economia dei flussi che sta alla base del mercato globale.
Troviamo una soluzione: rivoluzione
Nonostante questo, il paradigma globalista è rimasto intatto. L’unica alternativa che, ad esempio, gli Stati europei si propongono di realizzare è il “green new deal”. Le direttrici del Next Generation UE parlano di produzione di energia verde e digitalizzazione, con annessi e connessi. Queste generali direttive ci dicono che riprenderà (come se si fosse mai fermata) l’aggressione ai territori oltre che un aumento considerevole della disoccupazione, visto che la stragrande maggioranza dei proletari non è formata per stare dentro il mercato del lavoro che queste linee guida produrranno.
In più, non si fermerà l’estrazione, raffinazione e distribuzione di petrolio e gas naturale. E mentre ci raccontano la favola delle auto elettriche e degli impianti bio come soluzione sostenibile ai problemi legati alla produzione di energia attraverso le fonti fossili, nascondono che l’estrazione del litio necessario per costruire batterie causa guerre, povertà e inquinamento o che per costruire immensi impianti fotovoltaici c’è bisogno di una enorme quantità di energia, anche qui, quasi sempre da fonte fossile.
Tutto questo in maniera più o meno evidente va ulteriormente definendo un Noi e un Loro. Loro, quelli che distruggono i nostri territori, quelli del profitto a ogni costo. E Noi, quelli che lottano per la sopravvivenza, per la liberazione dei nostri territori dalla ferocia dello Stato e del Capitale.
C’è un Noi e un Loro. Noi lottiamo per la vita, Loro per darci la morte.