DDL sicurezza: l’ideologia del potere contro la società

DDL sicurezza: l’ideologia del potere contro la società
Il movimento contro l’approvazione del ddl Sicurezza (già conosciuto come 1660 e adesso rinominato 1236 al Senato) sta crescendo attraverso la diffusione di manifestazioni ed iniziative.
Nel fine settimana appena trascorso anche in Sicilia si sono svolti cortei che hanno attraversato le strade di Palermo, Catania e Messina. Centinaia di manifestanti, nelle città della regione, hanno portato per le strade i temi della critica ad un disegno normativo che riscrive per intero le dinamiche del conflitto sociale e l’approccio del potere nei confronti delle parti più fragili della società.

 

Tra tutti è da segnalare l’accanimento nei confronti del corpo carcerario.

Dall’approvazione della legge in poi sarà difficilissimo in carcere battersi per difendersi, anche nelle forme della resistenza passiva, poiché ogni comportamento sarà associato alla categoria della rivolta e proprio per questo considerato reato e “caricato” di un aumento sconsiderato delle pene.

A fronte di uno strutturale sovraffollamento delle case di reclusione, l’esecutivo si appresta a varare dunque un provvedimento che introduce nuovi reati per colpire le marginalità (senza casa, migranti, madri detenute) che piuttosto che ridurre le ingiustizie sociali rischia di alimentarle, in linea con il modello punitivo e repressivo: la linea direttrice della “sicurezza” diviene quindi un confine al di fuori del quale emarginare interi segmenti popolari tramite criminalizzazione e reclusione.

 

C’è un passaggio dell’iter di questa legge che potrebbe apparire oscuro ed è la scelta del Governo di passare attraverso una via ordinaria piuttosto che utilizzare l’ormai consueta decretazione d’urgenza.

Dopo l’intensa produzione normativa fatta a colpi di decreti legge (Rave, Caivano, Cutro, Infrastrutture, Ambiente) l’esecutivo ha scelto in questo caso la forma del disegno di legge, decisione che tradisce il carattere ideologico del provvedimento. Non si tratta, infatti, di una normale riformulazione, ma di un provvedimento ideologico, che segna un prima e un dopo, un salto di qualità, e sul quale il Governo vuole vincere, sfidando anche le opposizioni politiche e sociali.

Con l’approvazione della nuova norma sarà il corpo stesso delle persone ad essere considerato un’arma e ciò consentirà di inasprire fortemente le pene per chi intende resistere alla devastazione dei territori e al processo di impoverimento ormai generalizzato.

 

Si dice che non verranno messe in pericolo le forme pacifiche di protesta, ma non è così.

Ciò che viene concesso è la semplice testimonianza, mentre si nega la possibilità di esercitare il diritto di decidere per gli abitanti dei territori, per i lavoratori, per gli studenti in lotta. La libertà dei popoli si è sempre espressa attraverso la capacità di disobbedire.

È di questo spazio pubblico che il Governo ha paura ed è per questo che si attiva per cancellarlo. Molto significativo è, peraltro, l’utilizzo della categoria del terrorismo introdotta in maniera del tutto decontestualizzata, ma che ha il valore della minaccia.

Attraverso l’introduzione di questa categoria sarà possibile aumentare le pene per una varietà enorme di comportamenti (alcuni dei quali fino ad oggi non considerati reati). Si apre così un enorme spazio di discrezionalità che agisce come ipoteca su qualsiasi forma le pratiche oppositive prendano, arrivando fino a far assumere alla parola, al pronunciamento, all’auspicio, alla propaganda, il valore dell’atto e così tradursi in anni di carcere.

 

Il disegno di legge è una vera e propria declaratoria dei comportamenti e dei movimenti da reprimere.

L’obbiettivo per nulla nascosto è quello di cancellare il conflitto dalle dinamiche sociali, disconoscendone il carattere creativo e alludendo a una società pacificata nella quale viene negata ogni autonomia e la decisione rimane tutta in capo all’esecutivo. Una visione tanto illusoria quanto autoritaria, oltre la quale rimane soltanto la violenza organizzata a favore del potere.

La sfida lanciata dal Governo alla società ha visto in queste settimana una prima risposta. Questo ciclo di iniziative ha avuto il risultato di portare la contestazione in un innumerevole sequenza di piazze. Si tratta adesso di mettere insieme i soggetti sociali che hanno manifestato la loro opposizione, offrire la possibilità di una convergenza. Ciò che, però, appare come un requisito fondamentale è che le mobilitazioni si radichino nei territori. Non sarà la somma delle reti militanti a spostare l’orientamento del Governo e se, come gli attuali equilibri parlamentari sembrerebbero manifestare, il disegno di legge dovesse superare il vaglio del Senato, solo le convergenze costruite nei territori potranno consentire di affrontare le lotte alla luce delle nuove norme.

A volte, però, accade che a questi disegni ideologici del potere la società, nelle sue molteplici forme, reagisca. È possibile che su questo terreno il Governo riceva una sonora sconfitta.

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