Decreto Milleproroghe e trivelle: lo Stato italiano torna all’attacco
Qualche giorno fa il Governo ha presentato il testo del decreto Milleproroghe. Spicca l’inaspettata assenza della riconferma della moratoria alle nuove autorizzazioni di concessioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Le trivellazioni continuano, per intenderci.
Sparito l’articolo che fermava le trivellazioni
I ministri 5 Stelle, che proprio due anni fa avevano voluto e promosso con forza lo stop alle trivellazioni in mare e sulla terraferma, hanno fatto un clamoroso passo indietro. I movimenti NO Triv e le comunità avevano fatto un sospiro di sollievo per quell’apparente passo in avanti rispetto all’utilizzo dei combustibili fossili. Ma niente da fare; l’articolo è stato rimosso.
I governi succedutisi negli ultimi 10 anni avevano dimostrato, a più riprese, il totale asservimento alle logiche dell’industria fossile.
Non è un mistero che Renzi e i suoi sodali abbiano schierato un poderoso arsenale propagandistico nella guerra dichiarata ai comitati contro le trivellazioni. Nonostante questo, tuttavia, la coscienza ambientale nei territori è cresciuta al punto che i politicanti, pur mantenendo un atteggiamento prono nei confronti dei petrolieri, sono stati costretti a mascherare le loro azioni, rivendendo come provvedimenti “verdi”, norme che, in realtà, hanno sostanzialmente continuato a garantire ampi margini di agibilità a ENI e soci. Lo stesso stop alle ricerche e alle trivellazioni del 2018 era stata una grande vittoria dei movimenti in difesa dei territori.
Il clamoroso voltafaccia del M5S
Non si era mai arrivati, però, a un voltafaccia come quello delle ultime ore: il decreto Milleproroghe conteneva un articolo che prevedeva lo stop a «permessi di prospezione o di ricerca ovvero di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi». La ratio era quella di mantenere i permessi esistenti fino alla loro scadenza senza la possibilità di ulteriori rinnovi. Il testo che però è giunto al Consiglio dei Ministri, non solo non contiene tale misura, ma approva addirittura un piano di sostegno all’industria di raffinazione. Evidentemente i petrolieri non hanno gradito la presa di posizione di qualche voce “stonata” e l’hanno subito mandata a dire al governo che ha risposto obbedendo e facendo un ulteriore regalino alle compagnie petrolifere.
Se dovesse essere mantenuto l’impianto del provvedimento, questo significherebbe, per la Sicilia, la possibile ripresa – o per meglio dire la prosecuzione – in grande stile dell’attività estrattiva, sia a terra che in mare, con effetti che è facile intuire. Sono infatti 84 le richieste di nuove trivellazioni presentate al ministero dello sviluppo economico, molte in fase avanzata e con minacce multi-milionarie di risarcimento da parte delle compagnie in caso di rigetto.
84 le richieste per la Sicilia
Solo in Sicilia le richieste pendenti per piattaforme marine sono 24 e tutte concentrate tra l’Adriatico e il Canale di Sicilia: davanti alla costa tra Gela e Licata la società inglese Northern Petroleum ha presentato una richiesta di trivellazione per una superficie di 279 chilometri quadrati, mentre Eni ed Edison in società vorrebbero concessioni per due impianti, il primo per 60 chilometri quadrati, l’altro per 450 chilometri quadrati. Accanto Pantelleria è la società piemontese Audax Energy ad aver chiesto un permesso di ricerca per 345 chilometri quadrati.
Altre 54 richieste riguardano invece ricerche in terraferma. In Sicilia, l’Eni ha puntato gli occhi sul territorio di Modica e Ragusa, ma anche nella piana di Vittoria, nella zona tra Caltagirone, Gela e Mazzarrone e sulle Madonie nell’area di Petralia Soprana; la Mac Oil ha presentato domanda di ricerca tra Enna, Caltanissetta e Agrigento; il gruppo Alcanna Italia nella zona del Belice.
I comitati, le associazioni e i cittadini che da anni si battono contro le trivelle, da Noto a Licata, sono in allerta per seguire l’evolversi della vicenda e, di certo, non sono disponibili a restare a guardare.