I verbali del comitato tecnico scientifico: lo Stato italiano ha sacrificato il Sud e la Sicilia
Sono stati pubblicati ieri i verbali del comitato tecnico scientifico sulle riunioni del 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile. I verbali desecretati rivelano che il 7 marzo i tecnici del Governo suggerivano di adottare misure restrittive solo per alcune zone del paese e non per tutte le regioni d’Italia (come poi annunciato il 9 marzo da Giuseppe Conte).
Per precisione, il documento recitava: «il comitato tecnico-scientifico individua le zone cui applicare misure di contenimento della diffusione del virus più rigorose rispetto a quelle da applicarsi nell’intero territorio nazionale, nelle seguenti: Regione Lombardia e province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena; Pesaro e Urbino; Venezia, Padova e Treviso; Alessandria e Asti».
Due giorni dopo, invece, l’intero paese è entrato in lockdown, senza nessuna differenza territoriale.
Noi l’avevamo detto.
Qualche tempo fa (ne abbiamo parlato qui), in accordo con altri gruppi e comitati meridionali e delle isole, avevamo affermato con convinzione che c’era bisogno di una chiusura disomogenea e regionalizzata, e di imporre misure di sicurezza sanitaria maggiori nelle quattro regioni settentrionali con i più alti numeri di contagio e non nell’intero paese. A quanto pare, anche i tecnici del Governo la pensavano così. Ma il loro parere è rimasto inascoltato.
Avevamo soprattutto preteso una gestione della fase 2 asimmetrica, differenziata su base regionale, che permettesse ai vari territori di avere il potere di decidere cosa apre e cosa no in base a quanto rilevavano le curve epidemiologiche.
Per lo Stato italiano il Sud e la Sicilia sono sacrificabili
Ma come mai lo Stato italiano ha deciso di chiudere tutto? Per ragioni marcatamente politiche ed economiche. Le quattro regioni del Nord sopracitate rappresentano insieme il 48% del PIL del paese. Sono le economie di quei territori che vanno tutelate a tutti i costi. Detengono loro il potere economico, e dunque anche quello politico. Se chiude la Lombardia, deve chiudere tutto; se la Lombardia riapre, allora anche le altre regioni possono interrompere il lockdown.
La diffusione del contagio – notevolmente differente fra Nord e Sud – è il criterio su cui, giustamente, si basavano i tecnici nel ritenere necessario il lockdown nelle zone più colpite. Ma per lo Stato contano di più le aziende del Nord; i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti del Sud e della Sicilia potevano essere sacrificati.