Che la dichiarazione di dissesto finanziario del Comune corrisponda al dissesto della città è ormai luogo comune nel dibattito pubblico. Al contrario, l’approvazione del Piano di Riequilibrio finalizzato ad evitare la dichiarazione di dissesto corrisponderebbe alla salvezza della città. Eppure questa sovrapposizione non è giustificata dalla norma, non è assolutamente vero che il dissesto causerebbe danni ai conti del Comune o ai servizi al cittadino che il pre-dissesto non causi.
La differenza tra dissesto e pre-dissesto
«Il dissesto finanziario sembra quasi apporre un marchio d’infamia sull’amministrazione che non è stata in grado di esercitare una sana gestione finanziaria del proprio ente e quindi di dover dichiarare il default. Da un punto di vista tecnico il dissesto finanziario è di più semplice applicazione ed anche da un punto di vista di “convenienza economica” probabilmente è più conveniente rispetto all’altro istituto». Così, ad esempio, introduce le due procedure un corso IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) finalizzato a istruire gli amministratori degli Enti Locali.
Dal punto di vista dei tributi locali i due istituti non presentano differenze. In entrambi i casi le aliquote vengono portate al massimo possibile. Per quanto riguarda i servizi a domanda individuale in entrambi i casi i beneficiari devono corrispondere almeno il 36% del costo di gestione. Inoltre, con entrambe le procedure vengono previsti il blocco dei mutui e l’alienazione degli immobili di proprietà dell’ente.
Quali sono le differenze allora? In primo luogo nel caso del pre-dissesto è l’amministrazione in carica a dovere censire la massa passiva e prevedere delle misure aggiuntive che consentano all’ente di incassare le somme necessarie a coprire la prima. Ai fini del pagamento dei debiti fuori bilancio lo Stato mette a disposizione un’anticipazione sul Fondo di rotazione nazionale. Nel caso del dissesto è l’Organismo straordinario di liquidazione a dover fare il censimento dei debiti (massa passiva) e costituire la massa attiva (le somme necessarie a pagare i debiti), facendo anche qui accesso a mutui con cassa depositi e prestiti e fondo di rotazione. Si crea, cioè, una soluzione di continuità, per la quale l’organo commissariale gestisce il pregresso e l’amministrazione in carica un nuovo bilancio, detto “stabilmente riequilibrato”.
Cosa cambia per gli amministratori
Molto diverse sono le conseguenze per gli amministratori. Nel caso del pre-dissesto non ci sono, praticamente, conseguenze, mentre nel caso del dissesto quegli amministratori per i quali è dimostrabile dolo o colpa grave non potranno candidarsi per i prossimi dieci anni.
Allo stesso modo, considerevolmente diverso è il trattamento dedicato ai creditori. Con il Piano di Riequilibrio ai creditori può essere proposta una transazione che riduca l’importo da corrispondere da parte dell’ente, ma non vi è alcun obbligo ad accettare. Con il dissesto, invece, il creditore è costretto ad accettare transazioni tra il 40 ed il 60% del credito posseduto. Nel caso di rifiuto del creditore bisognerà che questo aspetti la fuoriuscita dell’ente dalla fase di dissesto per poter rivendicare quanto dovuto.
La scelta politica degli amministratori
Si potrebbe continuare rilevando altri vantaggi per il dissesto (ad esempio, per quanto riguarda la maturazione degli interessi) e le medesime condizioni per quel che concerne la necessità, in entrambi i casi, di far prevalere nell’utilizzo dei fondi di bilancio il pagamento dei debiti. Quel che, però, appare chiaro è che politicamente i Piani di Riequilibrio pongono la rappresentanza politica in continuità con se stessa, mentre i dissesti assumono il carattere dell’atto d’accusa nei confronti delle generazioni politiche che l’hanno causato. Probabilmente è per questo che le forze politiche preferiscono evitare questa condizione, sebbene dissesto o pre-dissesto non dovrebbero essere una scelta, ma la conseguenza di una rilevazione oggettiva.