Emergenza idrica a Palermo?
Collegare la fonte di Presidiana con l’acquedotto di Scillato, requisizione e allaccio alla rete idrica di una decina di pozzi presenti nella provincia di Palermo, riparazioni di condotte idriche e piattaforme galleggianti per poter prelevare l’acqua dalle dighe fino a una maggiore profondità.
Sono questi i primi interventi previsti dopo l’approvazione di giovedì scorso, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per la crisi idrica di Palermo. La programmazione a lungo termine prevede invece interventi sulla rete di Boccadifalco e la costruzione di un dissalatore di rinforzo sul versante occidentale del territorio palermitano.
Quelle che osserviamo in questi giorni sono le ultime tappe di un’emergenza che il territorio siciliano conosce ormai da troppo tempo, basti pensare che anche i governi Cuffaro, Lombardo e Crocetta hanno affrontato la stessa emergenza. Emergenza che si è strutturata tramite una politica delle gestioni del sistema idrico che da una parte ha visto la riduzione in sette anni del 78% delle risorse dedicate alla gestione delle dighe siciliane e la sostanziale assenza di investimenti per riparare i condotti e dall’altra 1 miliardo e 200 milioni del Patto per il Sud, per depuratori e infrastrutture, mai spesi. Politiche che hanno ridotto il sistema idrico siciliano a un colabrodo che disperde in media il 50% dell’acqua utilizzabile. È la stessa assenza di interventi già conosciuta nella gestione del dissesto idrogeologico, che ha portato alla frana che nel 2002 ha interrotto la condotta di Scillato, parzialmente riparata solo nel 2017, e a quella che nel 2015 interrompendo la condotta di Fiumefreddo ha lasciato a secco per diverse settimane la città di Messina.
Intanto, mentre il lago di Piana si va prosciugando, mentre gli agricoltori e gli allevatori siciliani registrano un calo produttivo del 30%, mentre i palermitani rischiano di vedere i rubinetti a secco, assistiamo nel teatrino della politica all’imbarazzante spettacolo del rimbalzo di responsabilità per le politiche del passato e alle promesse di un futuro roseo.
È vero, in Sicilia c’è un’emergenza che ogni cinque anni cambia nome e colore politico, è un’emergenza sistemica, che si impersonifica in una classe di politicanti impegnata costantemente in una gestione delle risorse pubbliche esclusivamente funzionale al proprio ritorno immediato d’immagine e per questo con una cronica incapacità di programmare interventi a lungo termine sui grandi problemi infrastrutturali che caratterizzano la Sicilia.
Una classe politica che lascia ai siciliani solo la speranza, sia essa la speranza di piogge intense o la speranza che un costone non frani.
Ma, i siciliani sanno ormai bene, per esperienza diretta, che chi di speranza campa disperato muore…