ENI, Ragusa: sversamenti di petrolio da area di estrazione

ENI, Ragusa: sversamenti di petrolio da area di estrazione

Nuovo caso di sversamento di petrolio in Sicilia. Questa volta l’area interessata è il torrente Moncillè, affluente del fiume Irminio, Ragusa. Da circa tre settimane è in atto uno sversamento di materiale combustibile che interessa il bacino e non si sa ancora quanto è la superficie interessata. La proprietaria dell’area di estrazione di contrada Moncillè è Eni.

Sull’entità del danno ancora non è stato detto nulla. Da un lato, Legambiente chiede chiarezza e trasparenza, sostenendo che presenteranno un esposto in Procura per chiedere accertamenti; dall’altro, il dirigente del Libero Consorzio di Ragusa, Salvatore Buonmestieri, sostiene che sia tutto sotto controllo, che Eni sta seguendo la procedura prevista e che ha già comunicato agli enti preposti la perdita. Prova a rassicurare dicendo che l’intervento per la messa in sicurezza è stato immediato. Al momento, comunque, la zona è presidiata e non è consentito l’accesso ai non autorizzati.

Al netto di quanto dichiarato da Buonmestieri, ci troviamo davanti all’ennesimo caso di sversamenti che di sicuro bene all’ambiente circostante non fanno.

L’Eni, ancora oggi si fa promotrice di politiche di tutela dell’ambiente e del territorio, i fatti, però, dicono ben altro. Questo è solo uno degli innumerevoli casi in cui gli impianti di proprietà Eni passano agli onori della cronaca per queste ragioni. Sono recenti e ormai stranoti  i casi della Raffineria di Milazzo e di Siracusa.

Insomma, ancora una volta la multinazionale Eni mostra la sua vera faccia. Nonostante sul sito riporta che “è operatore in 12 concessioni di coltivazione nell’onshore e 3 nell’offshore siciliano, che nel 2017 hanno prodotto circa il 10% della produzione Eni in Italia” e che “è stato presentato alle competenti Autorità un progetto di ottimizzazione delle attività con l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale”, le attività di inquinamento e distruzione che Eni porta avanti sono sotto gli occhi di tutti. E le attività offshore di Licata, a solo 30km da Gela, sono le prime a smentire tali dichiarazioni. Un territorio in cui l’economia era prevalentemente basata sulla pesca, è stato distrutto e stravolto da tali politiche estrattive.

Insomma, attraverso la finta promessa di lavoro e sviluppo, la Sicilia ha avuto in cambio solo inquinamento, precarietà, emigrazione.

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