Rompere con la normalità. Far sentire la voce delle comunità

Rompere con la normalità. Far sentire la voce delle comunità
Sono passati tre giorni dall’ultima fumata gialla fuoriuscita dalla Raffineria di Milazzo.  Ieri si è tenuto l’incontro in prefettura alla presenza del direttore della Ram, del sindaco di Milazzo, del direttore dellArpa di Messina, dellAsp e del comandante provinciale dei vigili del fuoco. Lobiettivo era quello di «operare una valutazione congiunta delle problematiche connesse alla raffineria di Milazzo», ma è stato il solito incontro utile solo a tranquillizzare e minimizzare. E adesso che succede?

La sostanza fuoriuscita, dal colore, pare essere la stessa che per quasi un giorno venne emessa in atmosfera tra il 6 e il 7 agosto. I rilevamenti fatti in quella occasione dallArpa avevano registrato un incremento di anidride solforosa e benzene, nel comprensorio tirrenico, nelle ore successive al malfunzionamento segnalato dalla Raffineria.

 

La normalità che si ripete

Avvenimenti simili sono ormai frequenti e da molti considerati normali. Ormai – ma è così da molto tempo – è tutto normalizzato, pacificato. A ogni guasto con relativa fumata le associazioni definite ambientaliste fanno i loro post su Facebook e le segnalazioni in procura; i sindaci, non tutti, chiedono, indignati, spiegazioni ai vertici dell’azienda e per i cittadini comuni è solo la normalità che si ripete.

Ma come si rompe questa normalità? Come si fa saltare il tappo della pacificazione costruito con dedizione e precisione scientifica dai vertici Ram?

 

Cosa ci aspetta?

Nel giro di qualche anno la Raffineria smetterà di essere un polo produttivo per restare un semplice polo logistico dove verrà stoccato petrolio raffinato altrove. E sappiamo benissimo che se dovesse dipendere dalla volontà di Eni e Q8 (ricordiamo che la prima è una multinazionale di Stato), gli impianti verrebbero semplicemente spenti e la gente mandata a casa. A Gela, nel 2014 è andata così.

Negli ultimi 60 anni, in cambio di un po’ di occupazione, le due multinazionali appena citate hanno fatto un mare di utili. Mentre loro si arricchivano, noi abbiamo subito inquinamento, desertificazione e sottrazione coatta di risorse. Tra non molto salterà anche il ricatto salute\lavoro perché assisteremo a una drammatica emorragia occupazionale. Non avremo la salute e neanche il lavoro.

 

Cambiare rotta

Dunque, cosa aspettiamo ancora per reagire, per rompere questa normalità, questa pacificazione? Vogliamo aspettare di vedere realizzato il progetto di abbandono del nostro territorio, aspettare che arrivino le lettere di licenziamento? Siamo ancora in tempo per imporre un’alternativa fatta di bonifiche, di un diverso modo di intendere la produzione e lo sviluppo. Abbiamo provato sulla nostra pelle il sistema economico e sociale della crescita e del profitto a ogni costo. Anche a costo della vita delle persone. Adesso dobbiamo cambiare rotta.

Ma non possiamo delegare tutto a sindaci, prefetti e tribunali. Serve la comunità. Una comunità che rinneghi ciò che è stato fino ad oggi. E servono proposte concrete, progetti politici, mobilitazioni per immaginare e praticare il futuro del nostro territorio. Ormai è una questione di sopravvivenza.

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