Galles, Irlanda e Scozia: l’indipendentismo che viene

Galles, Irlanda e Scozia: l’indipendentismo che viene
Dopo Scozia e Irlanda, anche in Galles si comincia a parlare di indipendenza. Nel Regno Unito, gli accordi sulla Brexit stanno riaccendendo gli animi indipendentisti

Già a partire dall’anno scorso, abbiamo assistito a un conflitto tra le camere – le assemblee di Galles, Scozia e Irlanda del Nord – e l’Inghilterra per l’approvazione della proposta di legge sull’accordo di recesso (Brexit). Il risultato finale, dopo i ”no” dei parlamenti, ha segnato una spaccatura all’interno del Regno Unito.

 

Le proteste in Irlanda del Nord

Nel caso dell’Irlanda del Nord, le molotov hanno illuminato le notti di questa settimana. Gli scontri non sono solo un chiaro riferimento alla crisi politica in atto, ma al riaccendersi del conflitto tra unionisti e indipendentisti all’interno del paese.  Gli avvenimenti  di queste ultime settimane vedono protagonisti delle piazze i cosiddetti unionisti. Questi ultimi, favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, si rivelano contrari al protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord – stilato a seguito degli accordi per la Brexit – che consentirebbe lo spostamento del confine doganale tra Irlanda e Inghilterra, ideato per proteggere gli accordi del venerdì santo e scongiurare un nuovo conflitto tra le due Irlande.

Provare a forzare. Costringere gli inglesi ad abbandonare il Protocollo. È questo l’obiettivo degli unionisti scesi in piazza. Ma subentra anche la paura che lo Sinn Fein possa superarli alle prossime elezioni – confermata dalle posizioni prese dal Democratic Unionist Party, primo partito dell’Irlanda del Nord, prima favorevole, poi contrario e ora neutrale rispetto alle proteste. Le rivendicazioni, gli scontri, le molotov non fanno altro che confermarlo: gli unionisti sono in difficoltà e lo Sinn Fein continua a conquistare sempre più  terreno.

 

Galles e Indipendenza

Anche in Wales tira aria di indipendenza. D’altronde, le necessità muovono le piazze, e quello che si sta registrando negli ultimi anni è una voglia, un desiderio, verso un cambio di rotta.

Dal 2020 il movimento per l’indipendenza del Galles ha preso a guadagnare consensi e sostenitori e oggi gli iscritti al gruppo politico indipendentista Yes Cymru sono diventati circa 18.000. Si tratta di un incremento di ben 17.000 iscritti rispetto all’estate scorsa. E a febbraio un sondaggio d’opinione ha registrato il 39% tra i sostenitori pro indipendenza.

«Se mi avessero detto, due anni fa, che quasi il 40% dei gallesi sarebbero stati a favore dell’indipendenza, nei sondaggi, avrei pensato che si trattava di uno scherzo. Eppure è la realtà con la quale ci troviamo a fare i conti oggi» – afferma Richard Wyn Jones, docente di politica all’Università di Cardiff.

 

Indipendenza dal Regno

Nonostante alcuni studiosi continuino ad affermare che il risultato del referendum per la Brexit abbia messo in risalto il sentimento nazionalista inglese, la faccenda non può essere liquidata così facilmente. Anche perché, dopo la Brexit sono riemerse profonde contraddizioni all’interno del Regno che vanno proprio a toccare gli equilibri e dunque la tenuta futura dell’attuale assetto politico della Gran Bretagna.

Se da un lato – verso l’esterno – il voto per la  Brexit ha sostanziato il rifiuto di una grossa fetta della popolazione nei confronti dell’Europa cattiva (luogo dove si fanno scelte economiche lontane dai bisogni reali della gente); dall’altro – verso l’interno – ha risvegliato la voglia negli scozzesi, gallesi e irlandesi di riconoscersi in istituzioni diverse da quelle a cui sono legate, diverse da quelle da cui dipendono adesso. 

La Brexit ha scoperchiato il vaso di pandora dell’indipendentismo. La volontà di venire fuori da una situazione politica che tiene vincolate identità diverse, specificità territoriali diverse; tutte sotto il segno dell’Unità e del Regno.

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