Il diritto alla non-salute dei siciliani

Il diritto alla non-salute dei siciliani

L’accesso trasversale alle cure sanitarie, la possibilità ad una vita ispirata al benessere fisico ed alla salute rappresentano un diritto fondamentale sempre più negato dalla contemporanea mercificazione proprio di questi diritti. I siciliani conoscono molto bene questa privazione. Territori vittime delle peggiori speculazioni sono trasformati oggi in pericoli tossici per la salute delle comunità. Le barriere economiche all’accesso alle cure sanitarie, in una regione sempre più in difficoltà, completano il quadro ipocrita di un sistema che non funziona.

Renzi e Lorenzin, le grandi beffe

Nelle settimane di campagna referendaria non sono mancate le visite governative in terra siciliana. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha fatto della Sicilia una tappa fissa dei suoi numerosissimi viaggi. Ma anche il ministro della salute Beatrice Lorenzin non è mancata all’appuntamento con il partito del Si al referendum. In conferenza, ospite dell’ospedale Cervello di Palermo, ha portato avanti la strategia renziana incentrata su promesse e mistificazioni. Tre i temi fondamentali trattati dagli esponenti di governo sul tema sanità: finanziamento, assunzioni, piani di riordino. Per ognuno di questi il governo o mente spudoratamente o si nasconde dietro le colpe altrui. Che non mancano, ma che non sono esclusive. Partiamo dal finanziamento. Renzi ha più volte sottolineato come il suo governo abbia in questi anni alzato l’asticella del finanziamento al Servizio sanitario nazionale. Ed in parte, a guardare superficialmente alcuni dati, potrebbe essere vero. Un miliardo in più nelle finanziarie 2015 e 2016; un altro, forse, in quella per il prossimo anno. Peccato che tali risorse siano comunque inferiori sia alle necessità reali del settore (cronicamente sottofinanziato secondo calcolo degli istituti regionali) sia ai 5,4 miliardi promessi da un patto Stato-Regioni siglato due anni fa.    Il finanziamento nazionale è inoltre vincolato alle solite premialità pseudo-meritocratiche – dove per meritevole si intende la capacità di gestire i sistemi sanitari regionali in termini aziendali e di profitti – che destinano più soldi a regioni in cui la sanità già funziona un poco meglio, molte meno risorse a quelle già in difficoltà. Inoltre il taglio di decine e decine di prestazioni coperte da servizio sanitario nazionale, l’accento posto sulla necessità di sviluppare le assicurazioni integrative e il continuo richiamo amministrativo ai parametri dell’efficienza economica ci parlano di una sanità che viene volutamente condotta sempre più verso un sistema di tipo privatistico. La stabilizzazione di migliaia di precari storici e i concorsi utili al turn-over del personale sanitario sono stati vincolati, e quindi bloccati, proprio sulla base di tali parametri (nonostante sia palese la necessità di aumentare gli organici) e, stranamente, vengono ripescati dal ministro Lorenzin soltanto a pochi giorni dal voto al referendum come strategia elettorale. Intanto la scadenza della validità dei contratti precari viene allungata di altri sei mesi per prendere tempo e vengono bocciati gli emendamenti parlamentari alla finanziaria che ne imporrebbero la stabilizzazione. Le regioni si vedono così impossibilitate a realizzare aumenti di organico mentre devono fare i conti con i piani di riordino imposti dal ministero e che in regioni come la Sicilia si sono tradotti in tagli ai posti-letto, chiusura di strutture ospedaliere “periferiche” e punti-nascita, accorpamenti di corsie e reparti. Tutto nel nome della “maggiore efficienza economica”.

La regione Sicilia non garantisce i siciliani

Ovviamente sarebbe sbagliato non considerare anche le colpe di chi, come il governo regionale di Crocetta, ha messo del proprio nella crisi del sistema regionale. Fondi destinati alla sanità e dirottati verso altre voci di spesa; gestione disastrosa di alcune aziende ospedaliere (erano 6 a settembre costrette ad approntare piani di rientro); nomine quantomeno discutibili e riassetti amministrativi costruiti più sui numeri che sulle reali esigenze dei territori siciliani, soprattutto periferici. Il PD insomma si sta dando da fare tanto a Roma quanto nelle stanze di Palermo per destrutturare un servizio pubblico di tale importanza.

Le conseguenze di queste politiche

I risultati più recenti prodotti da queste politiche sono tutti inclusi nelle statistiche. Sempre più gente rinuncia alle cure sanitarie a causa di costi e difficoltà di accesso. I ticket sono aumentati negli ultimi anni più del 30%; le visite specialistiche sempre più inarrivabili; i tempi di attesa in ospedale divenuti biblici. Il numero di presidi sanitari è stato ridotto con conseguente aumento delle difficoltà logistiche per la fruizione di prestazioni mediche immediate. E’ cresciuta la spesa annuale per il settore privato (34 miliardi). I numeri parlano (su base italiana) di milioni di persone che negli ultimi anni rinunciano all’assistenza medica. Sia i dati Censis che quelli Svimez per il Mezzogiorno parlano di “diseguaglianze” territoriali nell’accesso alle cure del servizio pubblico. Gli stessi rilevatori di questi due istituti non nascondono come, aldilà di inefficienze e cattive gestioni, sia proprio la condizione di sotto-finanziamento la causa principale degli squilibri del sistema. Insomma, l’austerity imposta, seppur come sempre mascherata da principi di efficienza e razionalizzazione, contribuisce all’acuirsi di diseguaglianze sociali a scapito soprattutto di regioni da sempre trattate con le ricette del sottosviluppo cronico.

Rompere i meccanismi di aziendalizzazione economica e messa a profitto di un diritto fondamentale quale è quello alla salute (non numeri ma bisogni) è necessariamente la chiave per un cambio di rotta; liberarci dei governi Pd, a Roma e Palermo, è allora la precondizione necessaria a questo cambio di rotta.

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