“Il Sette e mezzo, La Comune di Palermo”: una settimana di eventi a Palermo
16 settembre 1866, Palermo insorge. Contro lo Stato d’Italia. Lo Stato della Torino sabauda. Cinque anni prima che la Comune di Parigi insorga contro lo Stato di Versailles. D’altronde, la primavera dei popoli del 1848, le rivoluzioni europee che scoppiarono contro le monarchie della Restaurazione, erano iniziate a Palermo il 12 gennaio. La Polonia, l’Ungheria, la Francia e la Prussia verranno dopo.
Palermo è fiera della sua storia di insurrezioni.
Le speranze del 1860 sono andate deluse, i proclami della dittatura garibaldina – «Noi siamo con voi, e non chiediamo altro che la liberazione della vostra terra» – sono ormai echi nel vento. Sono tornati gattopardi e cappelli a comandare, a arricchirsi, anche delle terre confiscate alla Chiesa. Lo Stato d’Italia, con l’aumento dell’esazione fiscale e il corso forzoso dei biglietti di banca che ha fatto lievitare i prezzi, ha imposto anche la coscrizione obbligatoria: le braccia più forti sono sottratte al lavoro. C’è una nuova guerra, e i generaloni d’Italia hanno già saputo perdere a Custoza e Lissa, serve carne da cannone. Cresce la renitenza alla leva, ci si rifugia nelle campagne e lo Stato ha risposto con la guerra al brigantaggio, mandando eserciti di piemontesi. E gli editti comunali si preoccupano del “decoro”: che non si dovesse ingombrare la via con utensili, o cucinare sulla strada o stender panni. Mpalermu!
I democratici spingono per una politica unitaria, tutt’al più temperata da una blanda autonomia; agli azionisti, l’ossatura del garibaldinismo, non importa neanche quella; gli autonomisti, che poi erano in pratica la maggioranza dell’opinione pubblica, sono in larghissima parte cattolici liberali; i moderati o “fusionisti”, si contentano di rappresentare le istanze del Regno. C’è, in pratica, un “partito unitario”, da cui sono ai margini clericali e rivoluzionari, in elezioni dove si vota ancora per censo – la politica è già una cosa distante.
Il 15 di luglio 1866, giorno di Santa Rosalia, corsero voci in Palermo che stessero per scoppiare disordini, ma nulla avvenne. Poi, la voce si ripeté l’8 settembre e nulla accadde. Poi, apparvero carte rosse ai canti della città e ritornò la voce il 15 settembre, e si videro donne dei quartieri che compravano più forme di pane del solito e generi alimentari. Si accumulava paglia per i cavalli. Il popolo aspettava. Il popolo sapeva.
All’alba del 16, centinaia di contadini delle campagne vicino a Palermo, armati e comandati per gran parte da ex capisquadra dell’impresa garibaldina, assalirono la città. In un niente, Palermo insorse: ai contadini si era aggiunto il popolo minuto, artigiani dei mestieri, operai, donne, scatenando una rivolta che parse indomabile. Presero il Palazzo di Città, costruirono barricate, assaltarono Poste e Delegazioni di Polizia. Più volte si tentò l’assalto all’Ucciardone. Ai repubblicani, che avevano scatenato la rivolta – riuscendo dove avevano fallito l’anno precedente – si unirono preti e monache, frati e suorine: i conventi e i campanili divennero luoghi dei rivoltosi o dove si curavano i feriti. Come in ogni rivolta di popolo, interessi diversi, e a volte distanti, si unirono. Viva la Repubblica, si gridò. Viva Santa Rosalia, si gridò.
Il Sindaco, la Giunta, generali e benestanti, aristocratici e borghesi fuggirono verso il Palazzo Reale, asserragliandosi e a un certo punto ipotizzando una resa e una trattativa, da dove chiesero rinforzi, l’intervento della Marina e del regio esercito.
Arrivarono le navi, e bombardarono a mitraglia e polvere, compiendo stragi e sventrando la città. Sbarcarono i soldati, ma vennero respinti, più volte. Per sette giorni, Palermo resistette. Poi, arrivarono altre navi e vomitarono migliaia e migliaia di militari. Palermo capitolò. La repressione fu brutale: bisognava punire chi aveva osato ribellarsi, cancellarne perfino la memoria. I generali italiani, proprio come quelli francesi che saranno battuti dai Prussiani, perdono le loro guerre ma si rifanno contro le proprie popolazioni, mostrando la faccia feroce. L’Italia era questa cosa qui. Rimarrà così.
L’insurrezione del 1866 non ha più i caratteri delle rivoluzioni nazionali: la Nascita della Nazione, l’Italia, è già accaduta. E non ha ancora i caratteri delle rivoluzioni sociali. E non perché la sua economia del capitale fosse “arretrata”; i Fasci siciliani, con le loro Leghe, le Camere del Lavoro, le lotte per un giusto salario e la distribuzione delle terre, la costruzione, insomma, del socialismo e del movimento operaio – un’indicazione che verrà da qui: la Sicilia è fiera delle sue battaglie per la democrazia e il lavoro – è ancora da venire.
In questo tempo tra il “non più” e il “non ancora” scoppia il 1866. Che non è più una rivoluzione dell’Ottocento e non è ancora una battaglia del Novecento. È una rivoluzione “urbana” – Palermo è una metropoli europea – ma dove la campagna, il “rurale”, la Provincia, hanno un ruolo determinante. È, insomma, un’insurrezione di popolo – proprio come sarà la Comune di Parigi – contro lo Stato, e la forma propria che esso ha assunto, e che segnerà i destini dell’Italia: accantonato ogni progetto regionalista e federativo, di una lunga tradizione di pensiero, e repubblicano e cattolico, l’Italia s’è data una forma centralizzata riproponendo ovunque il “modello piemontese” assolutista dello Stato sabaudo: la Sicilia sarà sempre come un “territorio d’oltremare” – «i Regi dominii al di là del Faro» – da riconquistare e ricondurre all’ordine; ogni rivolta sarà malandrina e brigantesca contro la legalità della proprietà e dello Stato.
Il 1866 di Palermo non vara nuove Costituzioni, non proclama nuovi assetti istituzionali, non declama nuove libertà. Non ha poeti, non ha cantori, non ha fotografi, non ha pittori. Il 1866 prende e toglie. Prende le ricchezze dove sa che sono accumulate, e le distribuisce. Toglie denari, vestiti, medicine, armi e cibarie, e le distribuisce. Il comando della rivolta e della resistenza è nelle mani dei rappresentanti delle corporazioni di arti mestieri e capi-squadra – spesso uomini del 1860, quando non del 1848. Essi sanno cos’è l’organizzazione, sanno come si fa un’insurrezione. Per sette giorni, uomini e donne e ragazzi, organizzano le barricate, si danno i cambi, si allertano, respingono i tentativi dell’esercito italiano, portano i dispacci da un capo all’altro della città, si curano le ferite, cucinano e mangiano, tra processioni, urla, suoni di banda e di fucile. Sparano. Sperano che altrove scoppino insurrezioni, in Sicilia, in Italia. Resteranno soli. Soli contro tutto lo Stato d’Italia.
Riappropriarci di quell’insurrezione, riprenderci Palermo per sette giorni – con il teatro di strada, i convegni, i dibattiti, le manifestazioni e i cortei – sarà una rappresentazione della rivoluzione che è stata. E magari, di quella che verrà.
Palermo è fiera delle sue rivoluzioni. Le aspetta, le prepara.
Programma :
Sabato 16 Settembre dalle ore 16:00
inaugurazione mostra documentaria sulla rivolta del sette e mezzo a Palermo presso la Residenza Universitaria San Saverio all’Albergheria a cura del Centro studi Zabùt
Domenica 17 settembre ore 17 Centro Sociale ExKarcere
esposizione prodotti tipici “biodiversità siciliane”
laboratorio pasta di grani antichi siciliani
ore 21 cena sociale
a cura di Simenza – cumpagnìa siciliana sementi contadine
Lunedì 18 settembre ore 18:00
Quattro Canti
“Siatti e Mienzu” azione teatrale
Martedì 19 settembre ore 17:00
Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
Spettacolo dei pupi per i bambini dei quartieri di Palermo offerto dalla Fondazione Ignazio Buttitta
Prenotazione necessaria al numero 3899981308
Mercoledì 20 settembre
Palazzo delle Aquile ore 17:00
Presentazione volume Rino Messina
“La repressione postuma. Palermo 1866: una rivolta breve e il suo epilogo giudiziario”
Giovedì 21 settembre ore 22:00
Piazza Bologni
Musiche e danze popolari Siciliane
con-
– Sara Romano
– Angelo Daddelli & I Picciotti & guest Aristocrasti duo
– Rosa, la Cantatrice del Sud ( tributo a Rosa Balistreri) – Debora Troía é Tobia Vaccaro
Danze Popolari a cura di Palermo Anima Folk PAF
Durante il concerto sara visitabile una mostra documentaria sulla rivolta del 7 e mezzo a Palermo realizzata dal Centro studi Zabùt
INGRESSO LIBERO
Venerdì 22 settembre
ore 17:00 Corteo Popolare dal Borgo Vecchio all’Ucciardone