La fase 2 dei lavoratori. Intervista a un operaio dei Cantieri navali di Palermo
A pochi giorni dall’inizio della fase 2, ci siamo domandati quale sia la situazione all’interno degli stabilimenti siciliani; in che condizioni si trovano i lavoratori appena rientrati. Nel dibattito pubblico è scomparso quasi del tutto il tema della sicurezza sul lavoro. In effetti, è un tema di cui poco si parla anche in tempi ordinari, ma in questa fase di emergenza sanitaria la sua assenza pesa maggiormente. Pertanto, siamo andati ai cantieri navali di Palermo e abbiamo fatto alcune domande a Serafino Biondo, rappresentante RSU della Fiom-Cgil.
Cominciamo facendo un passo indietro e tornando alla fase 1. Come è stata affrontata? La fabbrica ha chiuso completamente? Chi non ha lavorato, ha ricevuto la cassa integrazione? Ci sono stati licenziamenti? Modifiche del piano aziendale?
La fabbrica ha chiuso completamente il 13 marzo, fermando le attività dopo la proclamazione dello sciopero. Eravamo nel pieno della crescita del contagio; abbiamo chiesto il blocco dell’attività produttiva per non mettere a rischio i lavoratori. Nella fabbrica lavorano circa 1500 addetti. Il rischio di contagio coinvolgeva tutta la città di Palermo, non solo chi lavora ai cantieri navali. Abbiamo scioperato e Fincantieri ha recepito il messaggio: dalla settimana immediatamente successiva, quindi dal lunedì, ha fermato le attività produttive in maniera totale. Le attività sono rimaste totalmente ferme fino al 20 di aprile.
Chi non ha lavorato, ha preso la cassa integrazione; abbiamo stilato un accordo attraverso il quale l’azienda si impegnava ad anticipare la somma. Abbiamo inoltre ottenuto la maturazione dei ratei di ferie e altri istituti contrattuali che di solito con la cassa integrazione si perdono. Va precisato che questo vale solo per i dipendenti diretti di Fincantieri; dunque non per la maggioranza. Dei circa 1500 addetti di cui parlavo prima, solo 450 circa sono dipendenti diretti di Fincantieri. Tutto gli altri sono lavoratori dell’appalto, lavoratori dell’indotto. Parecchi di questi attendono ancora il pagamento da parte dell’INPS. Le aziende dell’indotto, che contano al massimo 50-60 dipendenti ognuna, non l’hanno anticipata.
La tipologia di lavoro in cantiere è scandito dalla consegna delle navi. Prima del lockdown avevamo un calendario ben preciso e ben definito. Adesso non abbiamo ancora notizie ufficiali, ma sicuramente gli impegni e la tabella di marcia programmati con largo anticipo, andranno un po’ a perdere.
La fase 2 invece com’è iniziata? Il cantiere ha ripreso le attività a pieno regime?
In realtà Fincantieri ha provato a ripartire prima perché è inserita in quell’elenco di aziende che risultano strategiche per l’economia italiana. I dpcm del Governo prevedevano, per tutte le aziende legate alla filiera produttiva di prima necessità, la possibilità in deroga di lavorare. Aziende come Fincantieri potevano, dunque, rimanere aperte una volta fatta richiesta al prefetto e aver ottenuto risposta affermativa. Ci ha provato più volte, ma lo scontro con le rappresentanze sindacali l’ha impedito.
Solo il 20 aprile ha incassato l’ok dal prefetto e ha riaperto. Ma è stata una riapertura solo politica, non fattiva. Dal 22 aprile fino a oggi c’è stato un rientro graduale dei lavoratori. Alcuni addirittura sono stati chiamati a lavorare per una settimana e poi rimessi in cassa integrazione. Quindi, nei fatti, è stata una riapertura con presenza molto ridotta.
Neppure adesso che siamo ufficialmente in fase 2 è avvenuta la ripartenza totale. In questo momento la presenza totale durante l’arco della giornata è di circa 800 addetti. Vale a dire poco più della metà del totale. L’altra metà è ancora in cassa integrazione. E come dicevo prima, c’è chi l’ha presa e chi ancora l’aspetta.
Nell’ultimo DPCM c’è un protocollo in allegato che fa riferimento alle procedure di sicurezza che tutte le aziende aperte devono rispettare. Il quale è, tra l’altro, il risultato di un accordo raggiunto tra Governo, associazioni datoriali e sindacali. Viene rispettato?
In azienda la presenza sindacale c’è. Tutto sommato c’è anche abbastanza sensibilità dei lavoratori sui temi della sicurezza. L’azienda tende a organizzarsi di conseguenza; il protocollo viene rispettato. Ci viene misurata la temperatura fuori dallo stabilimento.
Ma non dobbiamo dimenticare che buona parte dei contagiati, almeno da quanto dicono fonti mediche e scientifiche, è asintomatica, quindi non si può escludere la presenza di qualche positivo all’interno dello stabilimento. Non è escluso che possa essere, anche adesso, luogo di diffusione del virus. In ogni caso, viene utilizzata la mascherina e gli igienizzanti sono praticamente sparsi per tutto lo stabilimento.
Credi che il protocollo sia insufficiente? Cosa cambieresti?
A mio parere il protocollo non è sufficiente; non lo è perché le condizioni di lavoro, proprio per la tipologia di attività, non permettono assolutamente, o comunque raramente, il distanziamento sociale. È vero che è previsto l’obbligo per chi non riesce a mantenere il metro di distanza di indossare la mascherina, però è anche vero che tenerla otto ore mentre si lavora non è il massimo, soprattutto non lo sarà nelle settimane che ci aspettano, in cui le temperature si alzeranno.
Ci sarebbe la possibilità di organizzare il lavoro in modo tale da ridurre al minimo la possibilità di assembramento. Abbiamo chiesto, e sembra essere stato recepito, una divisione dei turni che possa ridurre la presenza contemporanea dei lavoratori. Credo, inoltre, che poteva e doveva essere calcolata una riduzione dell’orario di lavoro, ovviamente a parità di salario, che avrebbe ridotto notevolmente l’esposizione a un eventuale contagio. Questo permetterebbe anche di organizzare su più orari diverse tipologie di lavorazione che invece con queste modalità di organizzazione del lavoro sono costretti a svolgere contemporaneamente, sempre a rischio assembramento. Stessa cosa vale per l’utilizzo degli spogliatoi, la possibilità di lavoro ridotto articolato su più turni, permetterebbe un utilizzo degli spogliatoi con meno lavoratori.
La prova del nove non sarà ora, nel senso che al momento lo stabilimento non è affollato. La prova del nove sarà quando torneremo tutti al lavoro, cioè quando ci saranno le presenze pre Covid-19, là si misurerà l’efficacia delle misure rispetto agli assembramenti, che rimangono a mio parere la questione più difficile da evitare. Si è fatto divieto di assembramento in tutta la società, ci chiediamo perché degli assembramenti dentro le fabbriche non si parli mai.