Introduzione al seminario su Nicola Zitara.
Mentre nel 1972 in Stato e sottosviluppo Luciano Ferrari Bravo scriveva che il sottosviluppo del Mezzogiorno rappresenta il naturale risultato dello sviluppo capitalistico, Nicola Zitara nel saggio Proletariato esterno (anch’esso apparso nel 1972) si spingeva oltre: “le masse lavoratrici del Nord e del Sud possono, sì, avere un traguardo finale comune, ma debbono percorrere strade diverse ed autonome, perché autonomi e spesso contrastanti sono gli interessi rispettivi”. Zitara invitava al “separatismo rivoluzionario” in considerazione del fatto che le leggi del capitale colpiscono con forza maggiore i “meridioni”, le “colonie interne”. Da quegli anni ad oggi le condizioni geopolitiche, economiche e sociali si sono profondamente trasformate, tuttavia il divario tra i paesi del Nord e quelli del Sud si è ancor più approfondito. Il seminario – giovedì 13 aprile – organizzato dal Collettivo Universitario Autonomo e dal Centro di documentazione “Zabùt” si propone di riprendere i fili di quel discorso e valutarne l’attualità.
Lorenzo Terzi
Lo storico e scrittore socialista Nicola Zitara (Siderno, 1927-2010) approdò a posizioni meridionaliste – e, poco dopo, apertamente separatiste – applicando gli strumenti dell’analisi marxista alla realtà economica e sociale del Mezzogiorno contemporaneo. La sua ampia conoscenza delle opere del meridionalismo “classico” venne infatti a saldarsi con la riflessione sul colonialismo portata avanti tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso da autori come Samir Amin.
Al 1971 risale la prima edizione di un “classico” di Zitara: L’unità italiana: nascita di una colonia. Il presupposto di partenza di questo importante saggio è il rifiuto deciso delle impostazioni italiane ed eurocentriche della storia economico-sociale del Mezzogiorno preunitario che spingono indietro di secoli l’insorgere della “questione meridionale”: “L’assetto del Mezzogiorno pre-unitario” scrive Zitara “va visto nella sua oggettiva autonomia, partendo dal grado di sviluppo della sua condizione sociale e culturale”. Il problema del Sud risiede, piuttosto, nella sua subordinazione al capitale “padano”, frutto non già di ragioni storiche – o peggio ancora di congenite incapacità “razziali” – ma di una precisa e deliberata volontà politica.
L’argomento è approfondito dallo scrittore calabrese ne Il proletariato esterno, edito nel 1972. Nella citata monografia Zitara mette in luce, fra l’altro, che all’inizio degli anni ’70 il prodotto lordo fornito dalle attività agricole nel Mezzogiorno, in totale, era inferiore a quello della FIAT; solo per l’acquisto dei veicoli prodotti dalla fabbrica torinese i meridionali corrispondevano annualmente, in media, quasi la metà di quanto l’agricoltura del Sud produceva nei suoi settori fondamentali. Il colonialismo, dunque, risiede proprio “in questi scambi ineguali che diventano sempre più ineguali, in questa perentoria divisione mondiale del lavoro che assegna le produzioni delle merci più redditizie (i prodotti dell’industria) a certe aree, e impone la produzione delle risorse primarie, sempre più svalutate, ad altre”. Non solo. La perdita di più vasta portata che il Mezzogiorno subisce è rappresentata dalla spoliazione dell’energia creatrice di ogni ricchezza: le braccia e i cervelli umani. Posto che, come scrive Marx, “il valore della forza lavoro è determinato dal valore degli oggetti d’uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla, conservarla e perpetuarla”, se un lavoratore espatria dall’area economica che lo ha allevato, questa subisce un danno emergente pari alle spese affrontate e un lucro cessante pari alle aggiunte di valore che il lavoratore darà ai beni nel corso della sua vita lavorativa; sicché calcolando il plusvalore che gli emigrati dal Sud hanno creato e creano in altre regioni, si arriva a cifre di milioni di miliardi delle vecchie lire. È questo, riassume Zitara, l’amaro, desolante calcolo di un saccheggio che il Meridione continua a patire a causa della sua condizione coloniale: “L’eurocentrismo, la superiorità preconcetta dell’uomo bianco, cui corrisponde la preconcetta barbarie del negro, del mongolo e delle altre razze non bianche, il duro fardello dell’uomo bianco nella sua presunta missione civilizzatrice sono stati denunziati quale prodotto sovrastrutturale del reale rapporto di sfruttamento imperialistico, e quindi colonialistico esistente tra l’occidente e i paesi del Terzo Mondo. Il concetto può essere esteso ai negri del Mezzogiorno senza che faccia una grinza”.
Circa un ventennio dopo, Zitara diede alle stampe il “romanzo storico” Memorie di quand’ero italiano, parzialmente autobiografico. Anche in questo lavoro, dedicato al ricordo e all’invenzione letteraria, l’autore non rinuncia alla riflessione sulle cause e sugli effetti del colonialismo “interno” italiano. Anzi, Memorie di quand’ero italiano ricostruisce sotto nomi fittizi le vicende della famiglia paterna di Zitara e dello stesso scrittore calabrese, mostrando la triste parabola dell’ultima borghesia meridionale degna di questo nome che, sino agli anni Sessanta del Novecento, tentò di resistere alla distruzione delle sue capacità imprenditoriali e alla sua trasformazione in ceto impiegatizio improduttivo, conseguenze dell’organizzazione capitalistica italiana. Il declino della ditta della famiglia Mercugliano inizia dopo l’unità, allorché lo stato sabaudo emargina il Sud e spoglia Napoli della sua funzione di porto internazionale per l’esportazione dell’olio. Il Banco di Napoli non riesce a rimediare alla situazione garantendo il credito, proprio nel momento cruciale dell’accaparramento dell’olio, allorché la liquidità sarebbe stata più utile per valorizzare il settore centrale dell’economia meridionale.
In Negare la negazione. Introduzione al separatismo rivoluzionario, del 2001, Zitara raccoglie il contenuto del pamphlet Tutta l’égalité, pubblicato cinque anni prima, insieme con altri saggi. Lo studioso calabrese introduce in quest’opera il concetto di “colonialismo bancario”, cui dedicherà un’imponente monografia, L’invenzione del Mezzogiorno. Una storia finanziaria, uscita pochi giorni prima della sua morte. Il problema sociale e politico individuato dall’espressione “colonialismo bancario” non consiste tanto nel fatto che il risparmio della popolazione meridionale finisce puntualmente al Nord, ma essenzialmente nel fatto che la banca, al Sud, finanzia soltanto i consumi e si guarda bene dal finanziare gli investimenti, evidentemente molto più rischiosi. Pertanto, basta il normale consumo per trasformare il finanziamento bancario in una forma di sbocco pre-finanziato dell’industria padana. Zitara a tale proposito commenta: “La cosa non solo è antieconomica, distruttiva; è soprattutto immorale. Il liberismo commerciale arricchisce i padroni e i proletari di un paese e fa un autentico cimitero del mondo restante. Il sistema del libero scambio potrebbe andar bene solo se tutti i popoli possedessero la stessa tecnologia e lo stesso numero di portaerei. In mancanza di ciò è un vero veleno”.