L’ItaGlia chiamò
Oggi è l’anniversario dell’Unità d’Italia. Il 159esimo. Festeggiamenti che il coronavirus renderà particolari. Forse passeranno alla storia. Noi, però, anche rispetto a quello che sta accadendo in queste settimane, continuiamo a chiederci se ci sia qualcosa da festeggiare. O se ci siano Inni nazionali da cantare.
In questi giorni confusi e strani – in cui si sono susseguite notizie e dichiarazioni e in cui tutto è stato filtrato da un’overdose di annunci, conferenze stampa e interviste – una delle poche cose ribadite con forza (oltre al classico restiamo a casa) è stata l’importanza di restare uniti. Perché “insieme ce la faremo”. “L’Italia ce la farà”.
Se si esamina la realtà, però, emergono aspetti in totale controtendenza rispetto al sentimento di Unità che si sta provando ad alimentare. Nel caos affiora, piuttosto, lo Stato delle disuguaglianze.
Analizziamo la questione partendo dalla gestione complessiva di questa emergenza. Ci sono delle misure varate dal Governo centrale che in maniera univoca dicono cosa si può e cosa non si può fare. Ma questo può bastare?
Ogni regione ha la sua specificità e pare che le misure prese siano calibrate sulle capacità di tenuta del sistema sanitario delle regioni del Nord – attualmente le più colpite. Se, come ci si aspetta, l’epidemia dovesse raggiungere tassi di diffusione altrettanto elevati anche in Sicilia, ci chiediamo se qui esistono le condizioni materiali – ovvero un sistema sanitario finanziato adeguatamente negli anni e un numero di medici sufficienti – per fronteggiare l’emergenza.
La situazione ci ricorda, inoltre, l’esistenza di una questione irrisolta: l’emigrazione dalla Sicilia. Sarebbe fine a se stesso accusare chi, preso dal panico, decide di tornare. La colpa va ricercata piuttosto in chi gli eventi li ha determinati. Zaia e Fontana, con il sostegno dello Stato Italiano, hanno provato a gestire l’emergenza in funzione degli interessi di Veneto e Lombardia. Musumeci ha fatto la solita parte di chi chiede permesso e per favore, salvo poi fare la voce grossa quando già era tutto fatto. Ci si chiede, però, cosa sarebbe successo se l’esodo, invece che dal nord verso sud, fosse stato al contrario. Ma in questi casi si sa – lo dice pure Conte – bisogna evitare le polemiche e restare uniti.
Si potrebbe guardare anche alla condizione dei lavoratori. Parlare di Unità, in questo caso, è quasi il colmo. Infatti, mentre c’è chi si può permettere di non lavorare o chi ha il diritto di lavorare da casa, c’è chi, da lavoratore autonomo, deve sperare di prendere 500 euro una tantum dal Governo e chi, invece, continua a spaccarsi il culo in ospedale (a Palermo, per 12€/h), in un call center (se va bene, a 5€/h) o in una fabbrica, esposto al rischio di contagio. A questi ultimi verrà data, al massimo, una misera mancia da 100 euro. Ma “restiamo uniti” è l’imperativo. Che sarà mai se in tutta questa faccenda c’è chi è sacrificabile e chi no.
L’importante è non lamentarsi e restare uniti. «Tutti insieme supereremo l’emergenza. L’Italia ce le farà, andrà tutto bene».
Basta mettersi la mano sul cuore, cantare l’inno (quasi come se fosse una preghiera) e sperare. In fondo, per molti, è l’unico diritto che rimane.