La democrazia social

La democrazia social

Segue a Le istituzioni del coronavirus

di Luigi Sturniolo

E chi se lo ricorda più il tempo in cui c’erano le elezioni, i partiti, il Parlamento? Sarà stato tanto tempo fa, quando ancora ci baciavamo per strada, non avevamo ancora il viso sfigurato da mascherine fai-da-te, pensavamo ancora che il deficit pubblico dovesse stare sotto il 3% del PIL. Adesso non lo sappiamo più cosa c’è là fuori. Non ci andiamo mai. Ogni tanto, così, solo per fare la spesa, con in mano un pezzo di carta che chiamiamo autocertificazione. Uno Stato di polizia? Macché, manco quelli ci sono più in giro. Hanno finito i soldi per la benzina. Stiamo dentro perché, alla fine, lo sappiamo che ci conviene. Siamo diventati tutti “responsabili”, “civili”.

Alle 14.00 noi siciliani ci affacciamo sul sito della Regione Siciliana per capire se poi è vero che arriva questa ondata epidemica, annunciata da un mese ormai come una minaccia biblica. Siamo qualche settimana indietro, ci hanno detto. Le settimane passano e qui non c’è, però. Chissà, magari stavolta ci salveranno il caldo, il vento, l’aria pulita, la lentezza, la difficoltà nei trasporti. Mah, non costa nulla sperarci! Alle 17.30 ci incolliamo alla TV per vedere come va in Lombardia, in quell’inferno del quale un giorno capiremo qualcosa. Ci racconteranno dell’eroismo dei medici e degli infermieri, ma non ci diranno che il sistema sanitario ha ceduto. Lo capiremo da soli. La conferenza stampa della Protezione Civile delle 18.00 sarà una conseguenza.

Chissà, poi, perché lo facciamo. Tanto lo sappiamo ormai tutti che i dati sono falsi. I positivi potrebbero essere 10 volte di più, o forse anche 100 volte di più. Neanche come tendenza possiamo prenderli quei numeri perché non ci dicono quanti tamponi hanno fatto. Qualche giorno fa qualcuno rilevava che avessero diminuito i test, quasi per paura di trovarli i positivi. Neanche del numero dei morti possiamo essere certi. Sembra siano molti di più di quelli ufficiali. Certo, la gente muore in casa in silenzio. E così si riducono i nuovi ingressi in terapia intensiva. Forse non hanno più posti. Probabilmente quei numeri sono dettati più dalla necessità di giustificare le scelte governative che viceversa.

Insomma, stiamo aspettando tutti l’immunità di gregge, un vaccino, un antivirale o un miracolo. E abbiamo capito ciò che, in fondo, non era così difficile da capire, se solo avessimo avuto il coraggio di guardare realisticamente a quello che stava accadendo, se non avessimo creduto che, davvero, barricandoci in casa per qualche settimana il virus sarebbe sparito. L’abbiamo capito che il virus è lì che ci aspetta, minaccioso, davanti al portone della nostra abitazione. L’abbiamo capito che ci dovremo convivere. Chissà per quanto.

Ma come faremo a prendere le nostre decisioni? Torneranno i partiti, i sindacati, i leader politici oppure il Presidente del Consiglio, i Governatori, i Sindaci continueranno a dirci ogni giorno, alla stessa ora, dalla loro pagina facebook cosa avranno intanto deciso di fare per noi? Bella alternativa davvero. Preferisci la padella o la brace? I critici dell’emergenza ci dicono che questa viene sfruttata per cancellare la democrazia. Ed è vero. Ma ce lo siamo scordati che la gente non contava un fico secco lo stesso anche prima? Ce lo siamo scordati che 200 persone nel pianeta posseggono (e possedevano prima) quanto i 4 miliardi più poveri? Ce lo siamo scordati che l’1% della popolazione italiana ha il reddito (e lo aveva) del 70% più povero?

Ma, poi, è così vero che questi uomini sono così soli al comando? E’ così vero che la valanga di parole gettate sui social, sulle piattaforme di ogni tipo, non condizioni il governo, l’amministrazione? Non sarà che l’equilibrio tra paura e fatalismo, tra responsabilità e libertà, si costruisce nelle innumerevoli discussioni virtuali? Non sarà che il tempo sganciato dal lavoro ci abbia trasformato tutti in intellettuali, studiosi, ricercatori? Non sarà che ci siamo associati in rete con tanti altri, con le nostre comunità, ma anche con gente che non sappiamo neanche chi sia? Soprattutto, ci siamo accorti che i territori sono tornati al centro della scena? A chi si rivolgono i cittadini se non ai Sindaci? Chi si sta organizzando sui territori per la solidarietà, se non le associazioni, i gruppi di amici, i commercianti, gli imprenditori locali? Certo, lo Stato c’è ancora, ma è lì, sullo sfondo.

Questa democrazia social è una novità e come tutte le novità è un grande rischio. Inaugura, però, un nuovo tempo, un tempo in cui si può pensare a rivedere i modelli economici, urbanistici, trasportistici, istituzionali precedenti. Può essere il tempo del comando unidirezionale come il tempo di un nuovo coinvolgimento collettivo. Può essere un incubo, ma anche un nuovo sogno. I corpi che tornano, nuovamente, sulla scena sociale possono inventare il futuro. Tornare al mondo di prima? Ma per carità! Era tristissimo.

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