Lettera aperta al presidente Gentiloni.
Lei, signor presidente, ha detto durante la sua visita: «Palermo va verso il futuro». Come un’astronave, infatti, Palermo naviga verso un nuovo mondo. Peccato che quando quell’astronave giungerà a terra, nel suo felice futuro, scoprirà un pianeta avvelenato, inaridito, sterile, impoverito; scoprirà che gli abitanti sono un po’ deperiti, vestono male, mangiano peggio, sono vessati da tasse e angherie, facili ad ammalarsi e privi di assistenza, senza lavoro, senza prospettive.
Come se niente fosse, lei, signor presidente, aggiunge: «Grazie a Palermo da parte di tutti gli italiani che sono orgogliosi di questa città». È vero. Quando gli “italiani” arrivano in questa città fanno una bella vacanza. Mangiano bene. Pagano poco. Possono andare al mare o sul monte Pellegrino. Se gli resta tempo possono passeggiare per le strade di una “Palermo turistica” tutta per loro: ripulita, ricucita, variopinta, un pò araba, un pò normanna; strade comode e vietate al traffico veicolare; vasi di fiori; negozi di souvenir. Questi “italiani che ringraziano” hanno conosciuto una Palermo finta, artificiale, costruita solo per loro.
La Palermo vera è tutt’altra cosa. Qui il lavoro è scarso, malpagato, servile; il traffico avvilente e nauseante; il cibo costa. Se la Palermo vera sale sul monte Pellegrino non è certo per godersi il panorama, ma per tornare a chiedere alla Santuzza di allontanare la peste che ancora oggi la ghermisce.
Lei, signor Gentiloni, aggiunge senza alcun rossore: «Palermo è la città che di più al mondo è cambiata in questi anni». Ma no! Non sapevamo di essere i primi al mondo; figurarsi cosa succede altrove! Milano… com’è peggiorata in questi anni. Roma… com’è mal gestita! Venezia… come s’è inumidita. Guardi Berlino, Amsterdam, Parigi: anche queste sono andate indietro. Sicurissimamente. Palermo no, come dice lei, non è come le altre. Qui va tutto bene, dice lei, in questi anni da noi tutto è cambiato. Lei è un adulatore, signor presidente. Grazie, molto gentile.
Infine, nella foga del momento, lei precisa: «Palermo città non soltanto della cultura artistica ma anche delle altre culture dell’accoglienza, della salute e della pace». Questo no davvero, questo è troppo. Città della pace? Città della salute? Città dell’accoglienza? Ma che dice, signor Gentiloni? Ma non le bastano ancora le basi militari di Sigonella, di Trapani, di Pantelleria, di Lampedusa, di Augusta; non le bastano le istallazioni militari di Vizzini, di Caltagirone, di Motta Sant’Anastasia, di Centuripe, di Monte Lauro? Quando poi definisce Palermo “città della salute e dell’accoglienza” mostra di non aver capito dove si trova. Lei giudica accoglienti, gentil Gentiloni, i ghetti palermitani dove vivono gli immigrati; trova accogliente il loro lavoro; il trattamento che ricevono; lo sfruttamento che subiscono. E trova salubre una città su cui incombe Bellolampo, la più grossa e la più inquinante discarica dell’isola? Trova salubre l’immondizia che si accumula nelle strade, invade le periferie, marcisce al sole, brucia nei cassonetti stracolmi?
Signor presidente, noi palermitani ne siamo certi: lei si sarà spostato per strade pulite, infiorate, imbandierate. Bella la città Palermo, si sarà detto! Bellissima! Ma è stata un’allucinazione, la sua, una canzonatura della nostra fata Morgana.