L’identità siciliana? Storia di un popolo in lotta
«Cosa significa identità siciliana?» ha retoricamente chiesto il Presidente Musumeci in un suo recente intervento, con l’intento di affermare che in Sicilia non esista nulla di simile. Niente di più falso. I siciliani hanno invece un’identità ben definita, costruita in secoli di insurrezioni e battaglie: è l’identità di un popolo che lotta. Lo sosteneva anche Karl Marx, in un suo scritto datato 1860.
Per Musumeci è tutta una fesseria.
Non sembra volersi spegnere la protesta scaturita a seguito dell’assegnazione, da parte del Presidente della Regione, dell’assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana alla Lega Nord. A dare adito alla protesta si sono poi aggiunte le dichiarazioni del Presidente in merito alla vicenda. Qualche giorno dopo l’annuncio della nomina, Musumeci ha infatti affermato di non sapere cosa sia l’identità siciliana, e che è facile capire che si tratti di una fesseria. Affermazioni assurde, offensive, che provengono dalla bocca di chi l’identità siciliana dovrebbe custodirla e proteggerla.
Cosa significa identità Siciliana?
Quella che il Presidente disconosce è la storia plurisecolare di un popolo in lotta. Un popolo che, tutt’altro che sottomesso, inerme e chino al volere dei dominatori – come la narrazione dominate lo descrive – ha sempre alzato la testa di fronte alle ingiustizie del potere. Quella che Musumeci chiama fesseria, è in realtà la caratteristica fondamentale della nostra terra: ciò che ci identifica, che ci unisce. Rinnegare e sminuire ciò che siamo, significa non essere a pieno siciliani.
Karl Marx: La Sicilia e i Siciliani.
Marx stesso, in un articolo pubblicato nel 1860 sul «New York Tribune», parla dei siciliani come di un popolo mai arresosi agli invasori; anzi, sempre incline a sviluppare forme di resistenza e opposizione. Lo studioso tedesco descrive brevemente come l’ardore del suo spirito si sia ripresentato nel corso della storia. Mai pienamente sottomesso e sempre pronto a insorgere, il popolo siciliano è sempre in lotta per la sua libertà.
La ricostruzione di Marx si ferma al 1860, ma i siciliani hanno continuato a dimostrare la loro forza nei secoli a venire. Di lì a qualche anno, a Palermo, scoppierà la Rivolta del sette e mezzo. Seguirà la nascita dei Fasci dei lavoratori, il fenomeno del brigantaggio, l’indipendentismo e l’antimilitarismo. Verranno poi le battaglie del dopoguerra: dal movimento contadino di occupazione delle terre alle più recenti lotte contro le basi militari e gli stabilimenti inquinanti. Dallo scritto di Marx a oggi tantissime sono state le lotte che hanno attraversato la nostra terra, molte più di quelle qui elencate e di quelle che i libri di storia riportano. Tutti questi momenti hanno contribuito alla costruzione della nostra identità. Un’identità insorgente e sempre pronta a combattere per il bene della Sicilia.
Riportiamo di seguito l’articolo di Karl Marx sopracitato.
In tutta la storia della razza umana nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto in modo altrettanto terribile per la schiavitù, le conquiste e le oppressioni straniere, e nessuno ha lottato in modo tanto indomabile per la propria emancipazione come la Sicilia e i siciliani.
Quasi dal tempo in cui Polifemo passeggiava intorno all’Etna, o in cui Cerere insegnava ai siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri,la Sicilia è stata il teatro di invasioni e guerre continue, e di intrepida resistenza. I siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze del sud e del nord; prima dei sicani aborigeni con fenici, cartaginesi, greci, e schiavi di ogni parte del mondo, importati nell’isola per via di traffici o di guerre; e poi di arabi, normanni, e italiani. I siciliani, durante tutte questetrasformazioni e modificazioni, hanno lottato, e continuano a lottare, per la loro libertà.
Più di trenta secoli fa gli aborigeni della Sicilia opposero resistenza come meglio poterono al predominio degli armamenti e all’arte militare degli invasori cartaginesi e greci. Vennero resi tributari, ma non furono mai del tutto sottomessi né dagli uni né dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu il campo di battaglia dei greci e dei cartaginesi; la sua gente fu ridotta in rovina e in parte resa schiava; le sue città, abitate da cartaginesi e greci, furono i centri da cui oppressione e schiavitù si diffusero
all’interno dell’isola.Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai l’occasione di lottare per la libertà, o almeno di vendicarsi quanto più potevano dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I romani infine sottomisero cartaginesi e siracusani, vendendone come
schiavi il maggior numero possibile. Furono così venduti tutti in una volta 30.000 abitanti di Panormo, la moderna Palermo. I romani fecero lavorare la terra siciliana da innumerevoli squadre di schiavi, allo scopo di sfamare i proletari poveri della Città Eterna con il grano siciliano.In vista di ciò, non solo resero schiavi gli abitanti dell’isola, ma importarono schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà dei proconsoli, pretori, prefetti romani sono note a chiunque abbia un certo grado di familiarità con la storia di Roma, o con l’oratoria ciceroniana. In nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana arrivò a tali orge. I cittadini poveri e i piccoli proprietari terrieri, se non erano in grado di pagare lo schiacciante tributo loro richiesto, erano senza pietà venduti
come schiavi, essi stessi o i loro figli, dagli esattori delle imposte.Ma sia sotto Dionigi di Siracusa che sotto il dominio romano, in Sicilia accaddero le più terribili insurrezioni di schiavi, nelle quali popolazione indigena e schiavi importati facevano spesso causa comune. Durante la dissoluzione dell'impero romano, la Sicilia fu assalita da vari invasori. Poi i mori se ne impadronirono per un certo periodo; ma i siciliani, soprattutto le popolazioni originarie dell’interno, resistettero sempre, con più o meno successo, e passo dopo passo mantennero o
conquistarono diversi piccoli privilegi.Quando le prime luci avevano appena cominciato a diffondersi sulle tenebre medievali, i siciliani avevano già ottenuto con le armi non solo varie libertà municipali, ma anche i rudimenti di un governo costituzionale, quale allora non esisteva in nessun altro luogo. Prima di ogni altra nazione europea, i siciliani stabilirono col voto il reddito dei loro governi e dei loro sovrani.
Così il suolo siciliano si è sempre dimostrato letale per gli oppressori e gli invasori, e i Vespri siciliani restarono immortalati nella storia. Quando la casa di Aragona ridusse i siciliani alle dipendenze della Spagna, essi seppero come mantenere più o meno intatti i loro privilegi politici; e fecero la stessa cosa sotto gli Asburgo e i Borboni. Quando la rivoluzione francese e Napoleone espulsero da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani – incitati e sedotti dalle promesse e dalle garanzie inglesi – accolsero i fuggiaschi, e li sostennero nella lotta contro Napoleone col sangue e col denaro.
Tutti conoscono il successivo tradimento dei Borboni, e i sotterfugi o le impudenti smentite con cui l’Inghilterra ha cercato e continua a cercare di nascondere il fatto di avere slealmente abbandonato i siciliani e le loro libertà alle tenere grazie dei Borboni.
Attualmente, l’oppressione politica, amministrativa, e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti. Ma quasi tutte le terre sono ancora nelle mani di un numero relativamente piccolo di latifondisti o baroni. In Sicilia vengono tuttora mantenuti i diritti medievali del possesso della terra, salvo che chi coltiva non è più un servo della gleba; non lo è più circa dall’undicesimo secolo, quando divenne un libero fittavolo.
Le condizioni dell’affitto sono, tuttavia, generalmente così oppressive, che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell’esattore delle imposte e del barone, producendo a malapena qualcosa in più rispetto alle imposte e all’affitto, e rimanendo essi stessi o disperatamente, o almeno relativamente, poveri. Pur producendo il famoso grano siciliano e frutti eccellenti, costoro vivono miseramente di fagioli tutto l’anno.
Ora la Sicilia è di nuovo insanguinata, e l’Inghilterra è la distaccata spettatrice di queste nuove orge dell’infame Borbone, e dei suoi non meno infami favoriti, laici o clericali, gesuiti o uomini d’arme. I chiassosi declamatori del parlamento britannico riempiono l’aria di vuote chiacchiere sulla Savoia e i pericoli della Svizzera, ma non hanno neppure una parola da dire sui massacri delle città siciliane. Non un grido di indignazione si leva in tutta Europa.
Nessun capo di governo e nessun parlamento chiede la messa al bando di quell’idiota assetato di sangue di Napoli. Solo Luigi Napoleone, per questo o quello scopo – naturalmente non per amore della libertà, ma per rafforzare la sua famiglia o l’influenza francese – può forse fermare il macellaio nella sua opera distruttiva. L’Inghilterra griderà alla perfidia, sputerà fuoco e fiamme contro il tradimento e l’ambizione napoleonica, ma i napoletani e i siciliani saranno alla fin fine i vincitori, anche sotto un Murat o qualsiasi nuovo dominatore. Ogni cambiamento non sarà che verso il meglio.